Sono parole anche “pacifiche” nella forma, ma suonano come una dichiarazione di guerra nella sostanza ai manifestanti di Hong Kong che chiedono da mesi l’autonomia dalla Cina e le libertà più basilari per una vera e sana democrazia: la governatrice Carrie Lam, parlando alla nazione in conferenza stampa dopo le ultime rappresaglie dello scorso weekend – che hanno portato al divieto totale, rischio carcere di un anno, di indossare maschere per coprire il volto – ha aperto all’intervento militare della Cina che risuona come una parola sola, “repressione”. «Sento fortemente che dovremmo da soli trovare le soluzioni ed è questa anche la posizione del governo centrale, ma se la situazione dovesse diventare pessima, allora nessuna opzione può essere esclusa se vogliamo che Hong Kong abbia almeno un’altra chance», risponde la governatrice ad una domanda specifica che richiedeva il possibile intervento cinese laddove la città-stato non riuscisse a venir a capo delle proteste ormai globali.
HONG KONG, TRA PROTESTE E REPRESSIONE SCOPPIA IL CASO NBA
Insomma, niente riforme democratiche ma un possibile ulteriore dominio incontrastato di Pechino contro i giovani di Hong Kong che chiedono, anche con la violenza, da mesi un cambiamento sostanziale del Governo. Lam ha invitato i tanti critici stranieri ad accettare la realtà che le violente proteste di Hong Kong «non sono più un movimento pacifico per la democrazia», bensì un attentato costante contro la piccola nazione. Fare ricorso alla Basic Law, ovvero la legge che prevede l’intervento militare cinese per sedare le rivolte, non viene citata direttamente dalla Lam che non spiega neanche le condizioni estreme in cui ne farebbe uso: ma solo evocare un possibile “intervento” già pone le basi per una minaccia imposta ai manifestanti con la possibilità della repressione cinese con i carri armati ancora fermi al confine con Hong Kong. Nel frattempo a livello internazionale, tra repressione e proteste, esplode il “caso Nba” dopo il tweet di solidarietà con i manifestanti del patron degli Houston Rockets (squadra preferita in Cina essendo stata quella della star cinese Yao Ming): la tv statale cinese Cctv ha reso noto la sospensione della trasmissione delle partite della Nba il che ha fatto esplodere letteralmente il caso per un danno economico enorme dati gli introiti che la lega di basket da anni ricava dai tantissimi sponsor della Cina. Il caso diplomatico è fortissimo e non sono bastate le scuse della star di Houston James Harden: come spiega poi Rai News questa mattina, le scuse della Nba non sono per niente piaciute a diversi esponenti politici Usa fortemente critici con la mossa che di fatta si vedeva sacrificare «i valori della democrazia a favore del ritorno economico».