Concentrati come siamo sulla manovra riguardante il 2020, tra norme di contrasto all’evasione, revisione della flat tax per le partite Iva, taglio del cuneo fiscale, bonus famiglia, possibile rimodulazione dell’Iva, ci stiamo dimenticando del presente, del 2019, dell’anno bellissimo (copyright Giuseppe Conte) nel quale l’Europa ha continuato a non farci sconti.
Era infatti il novembre 2018 quando Giovanni Tria dovette scrivere a Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici per rispondere alle loro osservazioni sul Documento programmatico di bilancio predisposto dal Governo Conte-1, accompagnando la sua lettera con un Dpb rivisto. Scriveva l’ex ministro dell’Economia: “Al fine di accelerare la riduzione del rapporto debito/Pil e preservarlo dal rischio di eventuali shock macroeconomici, il Governo ha deciso di innalzare all’1 per cento del Pil, per il 2019, l’obiettivo di privatizzazione del patrimonio pubblico. Gli incassi derivanti dalle privatizzazioni costituiscono un margine di sicurezza per garantire che gli obiettivi di riduzione del debito approvati dal Parlamento siano raggiunti anche qualora non si realizzi appieno la crescita del Pil ipotizzata”. Dobbiamo ricordare infatti che l’Italia rischiava una procedura di infrazione europea per eccesso di debito.
Per questo motivo, quindi, il Dpb rivisto, rispetto a quello originariamente presentato, portava gli introiti da privatizzazioni (tabella III.1-7) dallo 0,3% all’1% del Pil, contribuendo così a far scendere il debito/Pil previsto per il 2019 dal 130% al 129,2%.
Come però già “paventava” Tria, la crescita del Pil allora ipotizzata (+1,5%) non sarà realizzata e già la Commissione europea se n’è accorta proprio dopo le elezioni del 26 maggio, costringendo quindi il ministro dell’Economia a varare una “manovra correttiva” (mai fu però definita tale dal Governo nonostante sul piatto fossero stati messi 7,6 miliardi di euro) ancora una volta per evitare una procedura di infrazione per eccesso di debito.
Fu quello uno degli ultimi atti del Governo Conte-1. Uno primi del Governo Conte-2 è stato invece l’approvazione della Nota di aggiornamento del Def, nella quale il nuovo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha scritto che “in fase di aggiornamento del piano di dismissioni enunciato nell’ultimo Documento di Economia e Finanza, con riferimento alle società direttamente o indirettamente controllate dallo Stato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze rivede a 0,0 punti percentuali di Pil l’obiettivo di proventi per il 2019 e a 0,2 punti percentuali l’obiettivo per il 2020”. In effetti del punto percentuale di privatizzazioni programmato da Tria non si era mai vista attuazione concreta. Ciò ha delle conseguenze riconosciute nella stessa Nadef: “In assenza di proventi da privatizzazioni e altri proventi finanziari (che il precedente governo aveva ipotizzato pari all’uno per cento del Pil) a fine 2019”, il rapporto debito/Pil “salirebbe al 135,7%”. Rapporto che il Governo conta di portare al 135,2% l’anno prossimo.
C’è quindi da chiedersi: se l’anno scorso un debito/Pil per il 2019 al 130% veniva giudicato “pericoloso” da Bruxelles, che minacciava ancora pochi mesi fa una procedura d’infrazione, cosa accadrà ora che il debito/Pil per quest’anno è previsto al 135,7%? E come verrà giudicato un debito/Pil nel 2020 ridotto dello 0,5% rispetto all’anno precedente considerando il contemporaneo aumento del Pil dello 0,6% e gli introiti da privatizzazioni, da destinare alla riduzione del debito pubblico, pari allo 0,2% del Pil programmati dal Governo Conte-2? Come Tria anche Gualtieri dovrà iniziare uno “scambio epistolare” con commissario europeo agli Affari economici, in questo caso Paolo Gentiloni, suo collega di partito, tenuto conto che quest’ultimo, in audizione al Parlamento europeo, pochi giorni fa ha detto: “Mi concentrerò sulla riduzione del debito. Ho molto a cuore l’impatto potenzialmente destabilizzante di un alto livello di debito”?