Più ancora che per il merito, l’incontro promosso da Confindustria a Bruxelles con il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola e circa cinquanta europarlamentari di ogni formazione politica – grazie anche al contributo dell’ambasciatrice Elena Basile – è stato un segnale importante per il metodo proposto. Non più avanti tutti in ordine sparso, come ciascuno imputa all’altro di fare negli affari interni e ancora di più in quelli esteri, ma tentare di marciare uniti nella riscoperta di quello che si può chiamare l’interesse nazionale. Né più né meno di quello che gli altri Paesi mettono in pratica da tempo. Ma una rivoluzione per l’Italia.
Occorreva che qualcuno compisse il primo passo. E in assenza di segnali che giungessero dalla politica si è mosso il mondo delle imprese, particolarmente impegnato negli ultimi anni a costruire alleanze per promuovere – in un’epoca distratta – le ragioni della crescita, dell’occupazione, dei tanti giovani delusi. Dunque, nella capitale dell’Unione europea i vertici della prima associazione industriale italiana – i membri del Consiglio di presidenza più i responsabili dei Gruppi tecnici – hanno guidato una missione avente per oggetto la conoscenza diretta e approfondita dei problemi allineati sul tavolo della discussione.
Brexit, certo, ma non solo: capovolgimento del Patto di Stabilità e Crescita in Patto di Crescita e Stabilità (di fatto e non solo di nome) e avvio di una stagione riformista attraverso un vasto piano d’investimenti in infrastrutture, in chiave anti-ciclica, per collegare territori e includere persone. Si tratta, tra l’altro, di dare forza e coerenza all’impegno di Mario Draghi che sta chiudendo la sua esperienza alla Bce lasciando in eredità a Christine Lagarde – che dovrà subentrargli tra meno di un mese – il potenziamento del Quantitative easing, denaro a buon mercato, nonostante l’avversione di molti.
Insomma, in un mondo sempre più largo e complesso – dominato da vere e proprie potenze economiche e politiche come Stati Uniti e Cina – non possiamo più consentirci il lusso di andare ciascuno per conto proprio come se l’ego di ogni singolo Paese europeo possa bastare alla sua affermazione e salvezza. Per stare al gioco dei tempi occorrono un’Italia unita in un’Europa unita. Un’Italia, cioè, che sappia riconoscere e rivendicare i suoi interessi all’interno dell’Europa e un’Europa che sappia far valere le sue ragioni in un consesso internazionale particolarmente aggressivo e pieno d’insidie commerciali.
È chiaro che per conquistare consapevolezza e capacità di movimento occorre imparare a conoscersi e confrontarsi al di là della finzione dell’esercizio retorico. Occorre costruire alleanze vere e durature nel Paese e all’interno dell’Unione. Farci rispettare e a nostra volta rispettare interlocutori e regole.
Anche per questo i prossimi 4 e 5 dicembre, all’indomani dell’insediamento della nuova Commissione europea, Confindustria ospiterà a Roma il primo incontro trilaterale con le organizzazioni imprenditoriali di Francia e Germania, Medef e Bdi, con l’intento di varare un patto d’azione comune.
Siamo nell’epoca dell’interdipendenza. Nessuno può dirsi o sentirsi così forte, soprattutto in Europa, per poter svolgere i compiti di sopravvivenza da solo. Anche la potente Germania comincia a sentirsi minacciata dalla crisi interna dei consumi e perde colpi in economia. La competizione vuole unità.