Cinque persone accoltellate da un uomo sui 40 anni nei pressi di uno Starbucks del centro commerciale Arndale di Manchester. Si parla di “persone ferite” ma non ne è chiara l’entità. L’aggressore è stato fermato con il teaser dagli agenti e successivamente arrestato. Secondo testimonianze riportate dai media locali, “l’uomo ha accoltellato diverse persone a caso”, nel caffè e poi all’interno del centro commerciale, prima di essere fermato dalle forze di sicurezza. Il fatto che insieme alle forze dell’ordine siano scese in campo le forze anti-terrorismo fa pensare a un possibile attacco islamista. Non è la prima volta che la città inglese è vittima di questi episodi, il più grave dei quali fu nel maggio 2017 al concerto della popstar americana Ariana Grande, un’azione suicida che uccise 22 persone, tra cui moltissimi ragazzi. La notte di Capodanno 2018 ci fu poi un altro attacco, in una dinamica simile all’episodio di oggi, quando tre persone vennero ferite da un’aggressione all’arma bianca da un 25enne somalo al grido di “Allah akbar”, definito “psicolabile”. Ne abbiamo Parlato con Paolo Crippa, analista del Desk Difesa & Sicurezza del CeSI.
Quanto accaduto a Manchester desta preoccupazione, per via del fenomeno dei cosiddetti foreign fighters di ritorno dal teatro di guerra in Siria e in Iraq: si tratta di questo?
Non ci sono elementi al momento per collegare l’attentatore all’estremismo islamista e neanche per collegarlo al fenomeno dei foreign fighters di ritorno. Analizzando quanto successo, non sembrerebbe anzi uno di questi personaggi. Una persona che ha combattuto al fronte ha acquisito tecniche militari specifiche, come si è osservato in altri casi. Quanto successo nel centro commerciale di Manchester ci dice di una persona che ha colpito casualmente, in evidente stato di alterazione, senza una tecnica militare. Inoltre le intelligence dei paesi europei monitorano attentamente i flussi migratori provenienti dal Medio Oriente.
Si può allora parlare del cosiddetto “lupo solitario”, elementi che vengono influenzati dalla propaganda online, magari approfittando di persone che hanno particolari disturbi mentali?
Sì. Come abbiamo visto in passato, esistono nelle grandi metropoli europee sacche di immigrazione dove elementi come la povertà, il risentimento sociale, l’indigenza o anche l’incapacità di costruire dei rapporti porta alcune persone a costruirsi una personalità soggetta a influenze esterne. Succede, come sembra questo il caso, che queste persone assorbano episodi analoghi accaduti recentemente e cerchino di imitarli.
Manchester è stata teatro di diversi episodi di questo tipo, oltre al massacro all’arena dopo il concerto di Ariana Grande: a capodanno 2018 una persona poi identificata come portatrice di disturbi mentali aveva colpito nel medesimo modo, accoltellando dei passanti. C’è un motivo particolare perché Manchester sia teatro di questi episodi?
Direi di no. È un grande abitato operaio, ma questi episodi sono avulsi dal contesto urbano, si verificano dove si trova un soggetto particolare come quello che oggi ha scatenato l’attacco al centro commerciale.
Quello che sta accadendo in Siria in questi giorni, l’attacco turco ai curdi, che impatto può avere? È stata bombardata una prigione dove erano detenuti miliziani dell’Isis che si sono dati alla fuga, i curdi ne custodiscono almeno 60mila e c’è già chi parla di una riorganizzazione dello stato islamico: è così?
Il nemico del mio nemico è mio amico, dice un vecchio detto. Il fatto che in Turchia siano detenuti molti miliziani curdi che hanno combattuto l’Isis, rende possibile una sorta di alleanza turca con i radicali islamisti che i curdi avevano combattuto. C’è senz’altro il pericolo che i miliziani detenuti dai curdi possano approfittare della situazione e ristabilire dei contatti, riorganizzandosi. Va anche detto però che quei territori oggi sono sotto controllo dei russi, dell’esercito siriano e anche degli americani, nonostante la minaccia di Trump di ritirarsi. Minaccia che già adesso sembra stemperarsi. L’amministrazione Trump ha infatti fatto capire l’intenzione di fare un passo indietro dopo le dichiarazioni del presidente.