LONDRA — Segnatevi la data del 19 ottobre, perché quello potrebbe essere il D-day della Brexit. Il giorno della verità per il governo Johnson. Il parlamento britannico si riunirà in seduta straordinaria, la prima di sabato da quando ci fu l’emergenza dell’invasione delle isole Falkland. Due giorni dopo il cruciale summit dell’Unione Europea, i parlamentari torneranno a Westminster dove voteranno sull’accordo che il premier Boris Johnson potrebbe aver negoziato con Bruxelles. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che i negoziatori sono tuttora al lavoro.
Il fatto che poco stia trapelando potrebbe essere un segnale positivo. I lavori proseguono, le bocche sono cucite a Londra come a Bruxelles, fino all’annuncio che potrebbe arrivare a giorni (o ad ore).
Che parlamento troverà Johnson sabato? L’eventuale accordo con l’Ue passerà lo scrutinio del parlamento? Ad oggi, una parte dell’opposizione, ma anche una minoranza tra i conservatori, non vuole proprio la Brexit. Hanno cambiato idea nel frattempo? O continueranno a votare contro?
Il Guardian, giornale vicino ai laburisti, scrive che Johnson è molto vicino ad avere i numeri per far passare un accordo sulla Brexit dopo che un maggior numero di parlamentari euroscettici e di parlamentari Labour pro-accordo avrebbe indicato che sabato potrebbe votare per un nuovo accordo con l’Ue.
Domenica il leader dell’opposizione, Jeremy Corbyn, aveva detto che il partito laburista non voterà alcun accordo che dovesse andare contro gli interessi del paese. Affermazione un po’ ambigua, che non esclude del tutto un voto. Più netta la presa di posizione del partito nazionalista scozzese, l’Snp, che ha detto che non voterà un accordo negoziato dai conservatori.
Ma il piano di Johnson avrebbe il sostegno degli unionisti nordirlandesi del Dup e dell’ala intransigente dei Tories Brexiteer, che non accettano che l’Irlanda del Nord resti nel mercato unico e nell’unione doganale europea mentre il resto del Regno Unito si stacca. Questi parlamentari, che avevano affossato il Withdrawal Agreement negoziato da Theresa May, ora appoggiano il piano Johnson proprio per la diversa soluzione proposta per l’Irlanda del Nord. Questa è la differenza rispetto a prima.
Resta l’incognita di quali concessioni si sono dovute fare nella maratona negoziale, e se queste concessioni sono accettabili per i falchi della Brexit. Ma qualcosa si sta muovendo. Domenica, un falco come Jacob Rees-Mogg, leader dei Commons e convinto anti-Ue, ha cercato di preparare la strada, dicendo che “ci sarà inevitabilmente bisogno di un compromesso”. Sembra che diversi brexiteers abbiano ricevuto il messaggio. Per ora si tratta di segnali, ma è pur vero che chi vorrebbe un accordo con l’Ue si rende conto che se non dà il sostegno al piano Johnson, il rischio è che la Brexit non si faccia proprio. Estensione ed elezioni potrebbero portare all’annullamento del progetto e gli euroscettici Tories lo sanno bene.
Le chance del premier di conquistare l’ok del Parlamento dipendono molto da questi gruppi, dai falchi della Brexit (quelli a cui va bene anche una Brexit senza accordo), dal partito nordirlandese filo-britannico, e dai parlamentari dell’opposizione favorevoli ad un accordo. Sarà una seduta complicata. Eppure Johnson potrebbe avere i numeri per trovare consenso a Westminster.