Il governo Conte 2 – in occasione della sua prima manovra di bilancio – potrà o vorrà sanare, in nome della discontinuità, alcune delle ferite che il governo Conte 1 ha inferto al sistema pensionistico? Ricordiamo le misure adottate mediante il DL 4/2019 (convertito in L 26/2019): l’introduzione, in via sperimentale per il periodo 2019-2021, di un nuovo canale di pensionamento anticipato per i lavoratori con almeno 62 anni e con un’anzianità contributiva di almeno 38 anni e, per il periodo 2019-2026, il blocco a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne con il mancato adeguamento alla dinamica della speranza di vita del requisito dell’anzianità contributiva per il canale di pensionamento anticipato indipendente dall’età anagrafica. Questi provvedimenti hanno riguardato il versante della maggiore spesa. Sul versante delle entrate vanno annoverati l’oneroso contributo quinquennale di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro e l’introduzione di un bizzarro sistema di rivalutazione automatica dei trattamenti che, pur migliorando la normativa previgente, ereditata dai precedenti governi, ha rinviato l’entrata in vigore (prevista per il 2019) del meccanismo classico basato su tre aliquote (100%, 90% e 75%) applicate – per fasce orizzontali di importo – a prestazioni calcolate come multipli di quella minima.
Il Governo giallo-rosso, nelle ultime settimane, ha messo in circolazione parecchie ipotesi di modifica delle controriforme ereditate (in parte da se stesso), i partiti della nuova maggioranza si sono arroccati su proposte, sia abolizioniste che conservative, tanto da mettere la maggioranza in posizione di stallo. Una delle ultime ipotesi ipotizzate riguarda il rétourn à la normale per quanto concerne il sistema di perequazione automatica. Il che comporterebbe una diminuzione delle entrate a fronte di un’invarianza delle norme di spesa (la cui diminuzione rispetto alle previsioni e agli stanziamenti, ancorché ridimensionati, è dipesa soprattutto dal minore interesse dei possibili utenti).
Ovviamente, sarebbe apprezzabile il superamento dello strumento di rivalutazione escogitato dal precedente Governo, ma resterebbero insoluti tanti altre questioni, sulle quali è tornato di recente il Rapporto sulle tendenze di medio-lungo termine della spesa pensionistica e sanitaria (n. 20/2019) a cura della Ragioneria Generale dello Stato.
Il Rapporto (nel valutare gli effetti finanziari del complessivo ciclo di riforme adottate dal 2004) riconosce che il processo di revisione del sistema pensionistico italiano intrapreso negli ultimi decenni ha contribuito in misura significativa a compensare i potenziali effetti della transizione demografica sulla spesa pubblica nei prossimi decenni. Secondo la RGS appare evidente come il complesso delle misure contenute nel DL 4/2019 convertito con L 26/2019 e nella Legge di Bilancio 2019 (L 145/2019) per la prima volta dal 2004 abbia previsto un ampliamento della spesa e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento in controtendenza rispetto al precedente processo di riforme, producendo nel periodo 2019-2036, ulteriori maggiori oneri pari in media a 0,2 punti di Pil l’anno.
Lo scostamento rispetto al livello di spesa pensionistica in rapporto al Pil che sconta la legislazione immediatamente previgente è particolarmente accentuato nei primi anni della proiezione. In particolare, nel biennio 2020-2021, in corrispondenza con il maggior ricorso al pensionamento anticipato da parte dei soggetti che maturano il requisito congiunto per il collocamento a riposo con almeno 62 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva, la maggiore incidenza della spesa in rapporto al Pil ammonta a 0,5 punti percentuali. Negli anni successivi, il profilo dei nuovi oneri pensionistici in rapporto al Pil mostra un andamento decrescente. Lo scostamento rispetto al livello risultante sulla base della legislazione immediatamente previgente si azzera nel 2036. Dal 2037 e fino alla fine dell’orizzonte di previsione, l’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil nello scenario a legislazione vigente risulta in media più bassa di circa 0,05 punti rispetto al livello previsto sulla base della legislazione immediatamente precedente. La motivazione risiede principalmente – secondo la RGS – nel minor importo medio delle pensioni in pagamento dovuto all’anticipo del collocamento a riposo rispetto ai requisiti previgenti.
Considerando l’insieme degli interventi di riforma approvati dal 2004 (L 243/2004) in poi, il Rapporto certifica come, complessivamente, essi abbiano generato una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al Pil pari a circa 60 punti percentuali, cumulati al 2060. Di questi, circa due terzi sono dovuti agli interventi adottati prima del DL 201/2011 (convertito con L 214/2011) e circa un terzo a quelli successivi, con particolare riguardo al pacchetto di misure previste con la riforma del 2011 (art. 24 della L 214/2011) ovvero quella che porta il nome e la firma del ministro Elsa Fornero.