In Belgio l’eutanasia è legale e per questo motivo fino dal 2008 Marieke Vervoort aveva deciso di firmare i documenti per la “dolce morte” visto il suo status di forte disabilità: è morta ieri la campionessa disabile della velocità in carrozzina, oro alle Paralmpiadi di Londra 2012, per scelta personale dopo la grave malattia degenerativa che l’aveva colpita ormai 26 anni anni fa. Tre anni fa aveva annunciato in un’intervista la sua intenzione di farla finita ricorrendo alla pratica letale, al termine della sua carriera sportiva che l’aveva vista trionfare in ben due Paralimpiadi: Marieke Vervoort ha vinto l’oro nei 100 metri in pista a Londra 2012, ma anche argento nei 200 nelle stesse Paralimpiadi, poi argento nei 400 e bronzo nei 100 a Rio 2016. Gambe paralizzate da quando aveva 14 anni la velocista accusò il colpo con quella maledetta quadriplegia progressiva che la costrinse ad una adolescenza convulsa e difficile: «da un medico all’altro, che non sapeva cosa avevo e mi dava cattive notizie».
EUTANASIA, MARIEKE VERVOORT HA SCELTO DI ANDARSENE
È stato però lo sport a concederle una seconda possibilità per una vita che Marieke Vervoort avrebbe sognato diversamente: iniziò con il basket su carrozzina per poi approdare alla velocità in atletica leggera, passando per il nuoto e il triathlon con l’esplosione avvenuta nelle due Paralimpiadi suddette. A settembre, Marieke Vervoort, soprannominata “Wielemie“, aveva esaudito il suo ultimo desiderio guidando una Lamborghini Huracan sul circuito di Zolder: «Sono stata in grado di realizzare molti sogni, questo e’ l’ultimo», aveva commentato ai media che l’avevano intervistata per l’ultima volta. «Non voglio più soffrire», così aveva però detto qualche anno prima quando ammise di aver firmato i documenti per l’eutanasia. «La gente piangerà – aveva dichiarato ancora Marieke – ma voglio ringraziare per la vita che ho avuto, per il fatto che ora sono felice, sono in pace»; i rapporti, il successo dello sport e la famiglia non sono bastate a farla desistere dall’eutanasia, a “convincerla” che nella vita pur dolorosissima poteva ancora esserci spazio e destino per una splendida campionessa come lei.