In Umbria Pd e M5s si preparano a perdere, ma senza conseguenze nazionali; mentre in Emilia-Romagna il Pd non avrebbe neppure bisogno dell’accordo con i 5 Stelle, perché Bonaccini ha governato bene e potrebbe farcela da solo, togliendo al governo le castagne dal fuoco. Giuseppe Conte “sembra la figura più forte del governo, in realtà è la più fragile”: in caso di crisi non saranno Merkel e Macron a salvarlo, mentre potrebbero essere proprio Renzi e Di Maio ad affondarlo, dice Franco Bechis, direttore del Tempo. Da gennaio a novembre 2018 Bechis ha diretto Il Corriere dell’Umbria.
Cominciamo dal voto di domenica.
Quello tra M5s e Pd in Umbria è un patto raffazzonato tra forze politiche che fino al giorno prima si sbranavano a vicenda. Ci vuole tempo per convincere l’elettorato che si è una cosa sola, e infatti gli elettori non ci credono. A mio avviso molti che votano dem e 5 Stelle in gran parte staranno a casa, certo in proporzioni diverse.
Però un conto è astenersi in Umbria, dove la partita sembra persa; altra cosa è farlo in Emilia-Romagna.
Innanzitutto in Emilia Romagna un patto ancora non c’è. E sono convinto che un governatore come Bonaccini possa giocarsi la partita anche da solo contro tutto il centrodestra. Ha dalla sua una buona amministrazione, ha presa sul territorio, non deve fare i conti con gli scandali e le vicende giudiziarie che penalizzano il Pd in Umbria.
L’accordo M5s-Pd al momento non c’è, ma si farà?
Difficile dirlo adesso. Però è politicamente difficile, perché in Emilia il M5s quasi ci è nato, in contrapposizione netta con il sistema di governo della sinistra. Paradossalmente era più forte la sintonia che c’era all’inizio tra Lega e 5 Stelle.
Questo fa del centrodestra e della sua candidata leghista una coalizione vincente?
È prematuro fare ipotesi, per adesso direi che la Borgonzoni è molto simpatica ma non è un candidato travolgente, soprattutto sul fronte dei voti che deve togliere agli avversari. Da questo punti di vista le due Regioni sono molto differenti.
Perché?
Perché in Umbria il Pd ha deluso profondamente il suo elettorato, rompendo il rapporto di fiducia con chi magari lo ha votato per decenni. In Emilia invece, dove questa rottura non c’è stata, dove anzi il Pd ha governato bene, chi vuol vincere deve soprattutto essere attrattivo per chi non la pensa come lui.
Il voto in Umbria ha una portata nazionale?
No. Resta però una Regione non assimilabile ad altre. Alle amministrative del giugno 2018 ha fatto vedere in anticipo la forza di Salvini, ma ha una storia sociale e politica che non si può cancellare. Quello di domenica non sarà un voto d’opinione puro; il centrodestra è favorito, ma centrodestra e centrosinistra saranno meno lontani di quel che si pensa.
Qual è l’incognita maggiore di questo governo? La riscossa del centrodestra nelle Regioni, l’imposizione fiscale, i ricatti di Renzi?
Non credo che Salvini riuscirà a fare il filotto delle Regioni; saranno combattute, alcune più di altre, ma non sarà questo il fronte decisivo. Lo è stato una sola volta, nel 2000, quando D’Alema si dimise, ma ci si dimentica sempre di dire che la coalizione tenne fino al termine della legislatura.
La manovra?
Riflette la fragilità della coalizione di governo, che è priva di una visione e di un’idea di futuro. Ma andrà in porto.
Il presidente del Consiglio?
Sembra la figura più forte del governo, in realtà è la più fragile. Non ha alle spalle un partito preciso, anche se è stato espresso da M5s. Ha buoni rapporti internazionali, ma se cadesse il governo gli gioverebbe poco stare simpatico a Merkel e Macron.
La storia ancora non chiara dei rapporti di Conte con l’intelligence americana può far saltare tutto?
Non è quello il tema più scivoloso, al limite può diventare il pretesto per un’operazione che qualcuno potrebbe voler fare in ogni caso. Il vero tema delicato per il governo è il rapporto, evidentemente difficile, che c’è tra Conte e almeno due delle quattro forze che lo sostengono: Renzi ed M5s.
Partiamo da Renzi.
Si è seduto sulla riva del fiume per vedere chi cade in acqua. Ma se si va al voto e non raggiunge il 4%, Italia viva va a farsi benedire. Renzi può pensare di crescere soltanto tenedosi questa legislatura.
Anche perché una legge elettorale ancora non c’è.
No, infatti. I partiti non sono nemmeno d’accordo su quale sistema elettorale adottare; il proporzionale sembrava favorito, ma poi non se n’è più parlato. Non è nemmeno chiaro chi stia facendo che cosa, se c’è qualcuno che raccoglie le firme per il referendum oppure no.
Intanto il referendum di Salvini per abolire la quota proporzionale del Rosatellum pende in Cassazione.
Si è detto che sarà sicuramente bocciato perché altrimenti non avremmo una legge elettorale, ma non sembra un grande argomento per cassarlo: siamo senza legge elettorale con o senza il referendum leghista. L’unica cosa certa è che metter mano alla legge elettorale causerebbe una forte accelerazione politica. Questo lo sanno bene tutti i partiti.
Veniamo al Movimento 5 Stelle.
Deve scegliere se il suo capo è Di Maio o Conte. Se non è Conte, M5s diventa ancor più fragile. In ogni caso qual è il futuro di M5s andrebbe chiesto a Grillo e Casaleggio. Una volta che M5s avesse diffuso i suoi contenuti e “grillizzato” la politica, così avevano detto, a quel punto avrebbe anche potuto sciogliersi. L’obiettivo mi sembra in gran parte raggiunto e secondo me Grillo ci sta pensando; in ogni caso l’alleanza con il Pd va in questa direzione.
In Italia c’è lo spazio per un partito verde?
Lo ha già fatto M5s: le 5 stelle del simbolo sono temi green (acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo, ndr) e infatti i Verdi sono scomparsi con il loro arrivo. Tutta la sinistra oggi si sente più green, e in parte lo deve, volente o no, a M5s. No, lo spazio per un partito verde non lo vedo.
(Federico Ferraù)