La sentenza della Corte costituzionale n. 221 del 23 ottobre 2019 ha ribadito la validità e l’attualità di uno di quei diritti di ordine naturale che per secoli nessuno si è sognato di mettere in discussione, ma su cui recentemente c’era stato un vero e proprio accanimento giudiziario. Il diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre.
Tra il diritto di una coppia omosessuale ad avere un figlio ad ogni costo e il diritto di un bambino a nascere in una famiglia formata da genitori di sesso diverso, un uomo e una donna, prevale il diritto del bambino ad avere un padre e una madre. I diritti di una coppia omosessuale sono garantiti dalla legge sulle unioni civili, che però non include affatto il diritto al figlio, la famosa stepchild adoption. Adulti liberi e consenzienti possono organizzare la loro vita come meglio credono, nel rispetto delle norme vigenti, ma non possono ipotecare il consenso di un bambino che non c’è ancora e vincolarlo a situazioni che sono oltre i confini previsti dal diritto naturale.
La sentenza della Corte costituzionale pubblicata due giorni fa è in perfetta sintonia con l’altra sentenza, della stessa Corte, emessa solo pochi giorni prima: non ci sono due mamme o due papà. Anche se possono esserci vincoli affettivi particolarmente intensi in due donne o due uomini che amano uno stesso bambino. Si può amare un bambino anche più del genitore naturale, ma il genitore naturale resta l’altro. La Corte costituzionale ha respinto per difetto di motivazione il ricorso della coppia di donne sposate secondo la legge dello Stato americano del Wisconsin, che le aveva riconosciute entrambe madri di un bambino nato a Pontedera da una delle due, concepito con fecondazione eterologa in Danimarca. Il Tribunale di Pisa, davanti alla richiesta di veder riconosciuta la “doppia maternità’’ gestazionale per la madre, americana, intenzionale per la compagna italiana, aveva deciso di rimettere la questione al giudizio della Consulta. Il giudizio della Corte costituzionale ha definito inammissibile il quesito, confermando la normativa italiana.
Il divieto di accedere alla procreazione medicalmente assistita (Pma), imposto dalla legge 40 nei confronti delle coppie formate da persone dello stesso sesso, resta quindi del tutto legittimo, come ribadisce la Corte costituzionale con la sentenza 221, denunciando l’infondatezza della questione posta dal tribunale di Pordenone. La Corte premette che la procreazione medicalmente assistita “solleva delicate questioni di ordine etico e morale”, ma sceglie di muoversi nel solco del diritto naturale, così come ribadito dalla legge 40. I giudici costituzionali infatti mettono in evidenza come tutte le pronunce della Corte sulla legge 40 si sono sempre mosse nella logica del rispetto della finalità in un certo senso terapeutica assegnata dal legislatore alla Pma, come si evince con chiarezza dall’articolo 1 della legge 40. Un articolo che al comma 1 condensa in poche righe due principi regolatori importanti:
a) La Pma ha come obiettivo quello di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana
b) Il ricorso alla Pma deve assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito. E i diritti del concepito in questo caso sono riconducibili a due: diritto alla vita e diritto ad una famiglia formata da un padre e una madre.
Per questo, qualunque sia la valutazione che sul piano etico e morale si vuole dare della fecondazione medicalmente assistita, sia essa omologa che eterologa, alla Pma sono ammesse solo coppie di sesso diverso. Di fatto tutte le sentenze della Corte finora si sono concentrate soprattutto sugli aspetti medico-strumentali della Pma, senza contestare nella sua globalità, coerentemente con la Costituzione, l’altra scelta legislativa di fondo: quella, cioè, di riprodurre il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una figura materna e di una figura paterna. Ossia la Pma ha lo scopo di aiutare a risolvere problemi derivanti da sterilità o infertilità. Non ha affatto lo scopo di sovvertire un ordine di tipo naturale: quello della famiglia in cui la genitorialità è espressa da un padre e da una madre.
Ma l’attuale sentenza della Consulta si spinge ancora oltre, e re-interpreta in modo chiaro la famosa sentenza 162/2014, che aprendo alla fecondazione eterologa aveva fatto credere che questo supponesse apertura alle coppie omosessuali; osservando infatti come la sentenza 162 del 2014, che ha rimosso il divieto di fecondazione con gameti estranei alla coppia, abbia comunque “avuto cura di puntualizzare e sottolineare che alla fecondazione eterologa restano, comunque sia, abilitate ad accedere solo le coppie che hanno i requisiti indicati dall’art. 5, comma 1, della legge n. 40 del 2004, e dunque rispondenti al paradigma familiare riflesso in tale disposizione”.