L’evoluzione darwinianamente intesa è stata una grande innovazione culturale, e tutto quello che noi ora sappiamo (e quello che ancora ignoriamo!) non sarebbe possibile senza i punti fermi messi da Lamarck e da Darwin. Tutto evolve, però, anche le teorie; quindi restiamo affascinati dalle scoperte moderne che a volte rinforzano e a volte smentiscono certi assunti dei precursori. Vedremo, in questa puntata della nostra inchiesta, un fenomeno particolare che sembra contraddire l’assunto darwiniano dell’evoluzione come sopravvivenza degli individui: il persistere e l’affermarsi tra gli individui e le specie dei fattori altruistici.
Un campo tutto da esplorare è infatti la sopravvivenza di fattori altruistici. Cosa che contraddice l’assunto darwiniano della sopravvivenza del più adatto: se un soggetto per istinto è portato a sacrificare la vita per la sopravvivenza degli altri, come accade per le api in cui una va all’attacco, punge e muore per salvare l’alveare, o – nel piccolo – come accade per l’istinto materno di sacrificio per i figli. Per esempio in molte specie di erbivori (cervi, daini, gazzelle) si trovano degli individui che segnalano la presenza di eventuali predatori stando di guardia ed esponendosi quindi a rischi molto maggiori che il resto del branco.
Tutti questi esempi necessitavano quindi di nuove teorie che ne spiegassero l’esistenza. E questo va di pari passo con l’altro paradosso per il quale secondo gli epigoni di Darwin sarebbe il soggetto autonomo e auto-centrato a poter sopravvivere meglio cioè quello che sa affermarsi rispetto ai cambiamenti e alle difficoltà della società o dell’ambiente, mentre in natura si nota che la sopravvivenza dell’egoista è possibile solo in un ambito di elementi altruistici: un gruppo di soggetti egoistici è destinato a implodere, e per questo il comportamento altruistico è quello predominante.
Nello stesso ambito, parallelo al fenomeno paradossale della sopravvivenza degli altruisti, sta il fenomeno detto “mutualismo”. Il mutualismo è l’insieme delle mutazioni e cambiamenti di un individuo o di una specie sorti per adattarsi a un ospite, o per far scatenare nell’ospite una reazione di difesa verso l’ospitato. Per fare degli esempi dobbiamo andare in un campo non adatto per chi ha lo stomaco debole, ma tuttavia un campo importante: lo studio dei vermi. Usando l’evoluzione sperimentale di una triade di esseri viventi: due batteri e un verme, Kayla King e collaboratori hanno dimostrato che i batteri leggermente patogeni (Enterococcus faecalis) che vivono nei vermi (Caenorhabditis elegans) si sono rapidamente evoluti per difendere i loro ospiti animali dalle infezioni da un patogeno più virulento (Staphylococcus aureus), attraverso il meccanismo del mutualismo. In altre parole, un batterio si evolve per salvare il verme dove vive. Altruismo? No, mutualismo, cioè fare un’azione in vantaggio di un altro, ma per salvare se stesso. Il fatto però che questo sia diventato codificato dai geni, la dice lunga sul rapporto tra ambiente ed evoluzione del Dna, perché qui richiede un duplice adattamento e quindi una duplice mutazione: quella dell’ospitante e quella dell’ospitato: duro a giustificarsi se l’unica spiegazione è il caso.
Un’altra apparente forma di altruismo evolutivo è quella che si ritrova in altre specie di vermi, in cui la femmina in caso di carenza di cibo per i figli all’esterno, non schiude la sua vulva per farli uscire e le larve si trasformano in cannibali cibandosi della madre. Quando invece c’è abbastanza cibo per sopravvivere, le larve di vermi possono invece entrare in uno stato di animazione sospesa chiamato stadio di attesa fino alla deposizione delle uova. Tuttavia accade che questo comportamento possa determinare una mutazione genetica e diventare stabile, cioè avvenire anche in presenza di cibo.
Il lavoro di Braendle mostra che il matricidio è in realtà una risposta plastica codificata nei geni che, in seguito ad una mutazione, è diventata permanente. Quindi, 200 anni dopo, i biologi stanno rendendosi conto che Lamarck non ha sbagliato nel sottolineare che risposte rapide e flessibili all’ambiente – ciò che i biologi ora conoscono come plasticità – possono guidare un cambiamento duraturo. Ma, e in questo aveva ragione Darwin e poi Mendel, le mutazioni appaiono anche in questo caso come importanti motori dell’evoluzione. Le risposte all’ambiente “possono essere i precursori e i geni sono i seguaci”, afferma Gibert. “Questo è un cambiamento nel modo di pensare”.
Ma non ci fermiamo qui; nella prossima puntata vedremo di indirizzare verso la risposta a un enigma: se è chiaro che di fronte ad un evento ambientale catastrofico, una mutazione casuale può far sopravvivere un individuo (per esempio rendendolo tollerante ad un veleno sparso nell’ambiente) mentre tutti gli altri muoiono, come si spiega che i cambiamenti degli individui e delle specie abbiano invece riguardato anche dei tratti che non servono a sopravvivere (per esempio l’accorciamento progressivo delle dita dei piedi o l’aumento di statura umana nei secoli?
Ricordiamo comunque che… l’evoluzione è in evoluzione e le teorie si sommano a teorie.
(7 – continua)