“Non ne sono rimasti molti di noi” dice Eric Andersen prima di attaccare il brano You Can’t Relive the Past, scritto con Lou Reed. E’ il giorno dopo il sesto anniversario della morte del leader dei Velvet Underground. E’ vero, di quella generazione che ha cambiato il mondo, non solo quello della musica, in maniera così straboccante, non sono rimasti in molti. L’età, naturalmente, ma anche il prezzo che si paga per una vita costantemente on the road. In una serata dove sul palco si stagliavano due eroi di quella generazione, a testimoniare che quelle canzoni hanno ancora un significato e una valenza imprenscindibili, fantasmi e “memorie del futuro” li hanno circondati per oltre due ore. Ghosts upon the road, fantasmi lungo la strada.
Chi è morto, Lou Reed, Phil Ochs, Rick Danko, la stessa sua moglie Debbie Green scomparsa circa un anno fa e compagna in tanti suoi dischi; chi, colpito dalla malattia come Joni Mitchell, si è dovuto fermare, sono stati evocati continuamente. Lui, il folksinger, più in forma che mai a 76 anni, continua a combattere la buona battaglia, mentre in un continente di distanza il suo vecchio amico Bob Dylan, che di anni ne ha 78, fa altrettanto. Perché che altro possiamo ancora fare in questo mondo in fallimento, se non alzare la voce, ascoltare, commuoverci con la stessa dignità e integrità di un tempo?
“Ci conosciamo da prima che arrivassero Berlusconi, Matteo Salvini, Donald Trump” dice Eric salutando il sottoscritto dal palco, che insieme a un altro “guerriero” della strada, Roberto “Jacksie” Saetti, gli ha dedicato l’unico libro al mondo, “a labour of love” come dice lui. “Condividiamo gli stessi ricordi e gli stessi valori”. E’ così. Il riconoscersi appartenenti a quella che sarà pure una minoranza, in un mondo soffocato dall’odio, dallo sfruttamento più bieco, dalla superficialità, dalla menzogna quotidiana, ti fa riprendere la strada verso casa con la certezza di aver scelto, o essere stati scelti, la parte giusta.
Così, in perfetta solitudine, l’artista apre il concerto con una sempre toccante I Shall Go Unbounded, dei tempi antichi del Greenwich Village, una delle melodie più incantevoli uscite da quei club. La voce ha ovviamente i toni di quella di un uomo della sua età, ma lui la usa per donare sfumature di mestizia e nostalgia e sapori antichi che impreziosiscono il brano di nuove sfumature. Con la successiva Dusty Box Car Wall si unisce a lui questo scampolo di Rolling Thunder Revue che il coraggioso promoter Andrea Parodi ha messo insieme appositamente per l’Italia: la leggendaria Scarlet Rivera al violino, il bravissimo Paolo Ercoli al dobro e la percussionista eccellente, da Toronto, Cheryl Prashker. E’ una cavalcata ritmata nei territori della più antica e nobile musica folk nordamericana.
Ovviamente abbiamo tutti gli occhi puntati sulla meravigliosa “Queen of spade”, la donna che, giovanissima, regalò a Bob Dylan un sound, così come dieci anni prima Al Kooper aveva fatto con l’immortale riff di tastiere di Like a Rolling Stone. Lei annuisce orgogliosa quando glielo si fa notare, “è vero” dice, e tanto basta per consegnarla alla storia. Quel violino tempestoso, zigano e malinconico allo stesso tempo che adornò un disco come Desire dando a Dylan una nuova strada da percorrere. E il piacere di sentire finalmente in persona quelle note lunghe, quegli scampoli di jazz misto a sogni messicani è finalmente davanti a noi.
Il concerto è una carrellata vivace delle pagine migliori di Andersen, celebrando quella raccolta prestigiosa che la Sony/Columbia gli ha finalmente voluto dedicare, il doppio The Essential, mettendolo meritatamente a fianco dei migliori di quella etichetta che ha fatto la storia, Cohen, Springsteen, lo stesso Dylan. Ecco allora pagine antiche e meno antiche: Foghorn, Violets of Dawn, la bella Salt on Your Skin, Hills of Tuscany, quest’ultima come una visione vinciana che splende sulle colline nell’anno del 500esimo anniversario del gigante toscano, Rain Fall down in Amsterdam, scritta 25 anni fa e più attuale che mai con il risorgere della destra nazionalista e razzista in tutto il mondo, Under the Shadows e Thirsty Boots. Seduto a un elegante piano a coda, regala le toccanti Wind and Sand e Blue River.
Non vorremmo finisse mai, fuori nel buio e nella pioggia, attaccati ai vetri umidi, ci sono fantasmi, fantasmi sulla strada. Ma fino a quando i poeti leveranno la loro voce, fino a quando i loro versi saranno cantati, potremo sconfiggere ogni fantasma, reale o immaginario.
La degna conclusione di una serata indimenticabile diventa quindi in modo efficace una dedica al poeta Lord Byron, dall’omonimo disco a lui dedicato da Andersen, Mingle with the Universe. Mescolarsi all’universo. Dove saremo accolti alla fine della buona battaglia. Intanto, continuiamo per le strade della bellezza e della speranza, cogliendone ogni goccia che possiamo ricevere: “The words of the prophets are written on the subway walls and tenement halls”.