Camre Curto ha realizzato senza volere un sogno del nostro tempo: a causa di un complesso meccanismo neurologico, messo in moto da un ictus al momento del parto di suo figlio, questa trentunenne donna del Michigan ha perso completamente la memoria a breve e a lungo termine, azzerando – di fatto – i legami della propria vita.
Si è dunque ritrovata in una posizione apparentemente ideale: senza storia, senza passato, senza gravami da portarsi appresso, con solo se stessa a cui rispondere. Dimenticarci di quello che siamo, andare lontano, ripartire: sono queste alcune delle istanze più comuni che attraversano lo stato d’animo di molti trentenni, insoddisfatti delle loro esistenze e desiderosi di resettare tutto in vista di un nuovo inizio più promettente.
Eppure Camre non sembra essere così felice: forse per colpa di suo figlio, il cui volto ha dovuto reimparare a riconoscere, forse per colpa del marito, che ha scritto e autopubblicato un libro per lei con i dettagli della loro storia d’amore affinché la donna potesse ricordarla di nuovo, forse per quelle immagini sfuocate del passato che spesso le ritornano alla mente gettandola nella confusione e nello smarrimento, costretta a vivere mille vite possibili senza sapere in fondo niente di se stessa.
Viviamo convinti che sia la nostra storia il nostro problema: quello che ci hanno sempre fatto credere è che se avessimo davvero potere su di essa, fino ad estinguerla, potremmo davvero provare ad essere migliori e più felici. La verità è che noi cresciamo dentro ai legami, che quello che abbiamo sofferto ci aiuta a maturare, a comprendere quello che vogliamo e dove vogliamo guardare.
Non si riparte nella dimenticanza di chi si è stati, delle ferite curate, delle lacrime rammendate. Si riparte imparando ad amare la vita che abbiamo, perdonando i nostri troppi silenzi, l’incapacità ad amarci e a volerci bene, il dolore che ci provoca chi non ci capisce. Non si riparte cancellando, cambiando o evitando. Non si riparte minimizzando, giustificando o ingigantendo: si riparte dalla gratitudine per quello che c’è e dal dolore per quello che non c’è ancora, e che la vita ci ha promesso.
Camre Curto ha vissuto questi sette anni di amnesia come un incubo in cui non era più libera, ma ostaggio della propria mente e del proprio ruolo: abbiamo bisogno del nostro passato per poter davvero gustare il presente, per imparare a guardare avanti e compiere l’unico vero gesto di libertà che ci rimetta in cammino: perdonarci per quello che non abbiamo saputo essere e abbracciare quello che siamo. Nell’intima convinzione di non aver sbagliato vita, ma di essere soltanto sul promontorio di un inizio da cui – forse – dobbiamo ancora imparare a vedere l’alba.