Perché le Borse hanno premiato il titolo Fca e ci sono state vendite per Psa? La risposta sta nei numeri dell’operazione. Fca distribuirà ai propri azionisti un dividendo speciale di 5,5 miliardi di euro, nonché la partecipazione in Comau. I soci di Fca, a partire da Exor, ricevono così un premio di circa il 35% sui prezzi di chiusura della vigilia. Al contrario Psa, che la settimana scorsa trattava in Borsa a un valore di 22 miliardi, dopo aver ceduto Faurecia (valore 2 miliardi) si appresta a uno scambio alla pari con Fca che ne vale 18 miliardi circa cui vanno però sottratti i 5,5 miliardi da versare ai soci prima del deal.
Insomma, pur di sbarcare negli Usa con un marchio forte come Jeep (i dati di bilancio hanno confermato ieri il successo del Suv specie sul mercato americano ove il gruppo chiude il trimestre con un ebitda superiore ai 2 miliardi), Peugeot ha accettato di pagare un forte sovrapprezzo. Onore a John Elkann sul piano finanziario. Per quanto riguarda l’occupazione e le prospettive industriali per l’Italia, occorrerà attendere.
Non dimentichiamo poi che da sempre i mercati finanziari puniscono il compratore e premiano la preda. Ovvero, anche se la dinamica dell’operazione prevede che il nuovo colosso dell’auto, quarto al mondo per dimensioni, sarà controllato alla pari dai due gruppi, dal punto di vista industriale la leadership è stata assegnata a un manager, Carlos Tavares, in arrivo dal gruppo transalpino, cui è stata garantito il posto di amministratore delegato per cinque anni. Tavares, il Cristiano Ronaldo dell’auto, che è riuscito nell’impresa di rimettere in sesto Opel in tempi record, è comunque una garanzia.
Il manager che a suo tempo sfidò l’allora onnipotente Carlos Ghosn che lo cacciò da Renault ha centrato l’obiettivo inseguito fin dai tempi del suo passaggio in Psa: lo sbarco sul mercato Usa. Per giunta con un jolly d’eccezione: dai conti del trimestre emerge che l’accoppiata Jeep e Ram, i gioielli americani di Chrysler, hanno messo a segno un aumento degli utili del 22% in un anno molto difficile per i mercati, a conferma della bontà del lavoro effettuato da Mike Manley, l’uomo che convinse Sergio Marchionne a mandare in soffitta le berline (nonostante gli investimenti in Dodge) e puntare tutto sui Suv, una scommessa vinta a scapito di Ford e Gm.
Insomma, se si guarda alla sostanza industriale dell’intesa, i francesi hanno acquisito il biglietto di ingresso sul mercato Usa che inseguivano da tempo. John Elkann, invece, ha arruolato l’unico possibile erede di Marchionne cui affidare la gestione di quello che, comunque, resta l’attività “core” del gruppo, naturalmente al fianco di Ferrari. Per il resto, a giudicare dall’operazione pulizia annunciata ieri assieme alla trimestrale, non si vede un grande futuro per Alfa Romeo o per Maserati. A meno che Psa, all’avanguardia in Europa nel controllo delle emissioni di CO2, non aiuti a rinfrescare una marca stressata da troppi tentativi di rilancio finiti male. Per non parlare della prima sfida elettrica: la nuova 500 a tutto volt, piccola di dimensioni ma con l’ambizione di diventare un marchio di successo, che farà il suo debutto nella scuderia elettrica di Peugeot, assai più avanti della cugina italiana.
Fermiamoci qui. Inutile far volare la fantasia, specie alla vigilia di tempi che non s’annunciano facili per il mondo dell’auto. Specie per il nuovo gruppo privo di una base consistente in Asia, specie in Cina, condizione necessaria per esser giudicata come un marchio globale. Per non parlare della necessità di ringiovanire (vedi Fiat) un’offerta di modelli ormai invecchiata, soprattutto alla luce delle nuove regole e delle tecnologie in cui occorre inventare anche se daranno i primi ritorni solo tra qualche anno. Ma è importante capire che le sinergie tra Peugeot e Fiat Chrysler non sono sinonimo di tagli (che pure ci saranno). Ma un’occasione di sviluppo che l’Italia non può permettersi di perdere.
Il futuro dell’Italia dei motori, una delle poche tecnologie in cui possiamo competere, si gioca sulla motoristica, le piattaforme Cmp, che consentono la realizzazione di vari segmenti di essere realizzati nello stesso impianto e su quelle elettriche. Ancor di più sullo sviluppo di una produzione autonoma di batterie europee per opporsi allo strapotere asiatico che richiede un forte impegno a livello Ue, del tipo di quello già avviato sui chip cui partecipa Stm, prototipo di successo della collaborazione europea. Non a caso il ministro francese Bruno Le Maire ha sottolineato l’importanza di questo impegno. Peccato che in Italia non siano arrivati segnali nella stessa direzione. Ma non sorprende: la politica industriale non porta voti.