Come nell’ormai consolidata tradizione peronista, una volta che questo movimento, grande protagonista delle crisi argentine, torna al potere con l’incarico di spegnere l’incendio di cui è uno dei responsabili, l’unità faticosamente raggiunta lascia spazio alle faide interne, con spargimento di sangue, per la gestione del potere. La dimostrazione si è iniziata a vedere quando ancora la vittoria di Alberto Fernandez alle Presidenziali era giunta da poche ore. Il tempo di organizzare una manifestazione per celebrare l’evento ed ecco che iniziano a scoppiare le prime bombe interne: si doveva omaggiare il fresco futuro occupante la poltrona della Casa Rosada e invece il palco dell’assise è stato occupato da Cristina Kirchner prima e dall’ex suo ministro dell’Economia Axel Kicilloff (ora nuovo Governatore della Provincia di Buenos Aires) poi con due discorsi lunghi e incendiari, degni di quell’ultrakirchnerismo che si definisce rivoluzionario, relegando il povero Fernandez al ruolo di ospite invitato, invece che di festeggiato.
Per colmo pure uno dei grandi elettori del “Frente de Todos” kirchnerista è stato trattato malissimo da una vicepresidente che ha detto a chiare lettere di voler detenere il potere (lo si era capito da mesi): Sergio Massa, ex sindaco del sobborgo boarense del Tigre, è stato colpito dagli strali kirchneristi che lo hanno accusato di aver in passato tradito il loro ideale. Il fatto rivela che da dicembre in poi la gestione del potere in Argentina, complice anche l’attuale situazione economica, sarà a dir poco esplosiva, soprattutto per un motivo molto semplice: la candidatura di Alberto Fernandez nel kirchnerista “Frente de Todos” ha goduto dell’appoggio di parte del peronismo ortodosso a una condizione: che Cristina Kirchner non avesse nulla a che fare con la gestione del potere.
Il messaggio era chiarissimo, soprattutto da parte di Governatori di province argentine che poi si sono rivelate quelle dove il movimento ha costruito la propria vittoria. “Con te Alberto sì, ma senza Cristina” è uno slogan che da mesi si ricordava al futuro candidato, che però lo ha rispettato inizialmente, ma, soprattutto dopo il risultato delle primarie dello scorso agosto, ha poi iniziato a dichiarare che “Io e Cristina siamo la stessa persona”, provocando dei problemi interni che poi si sono amplificati durante la festa per la vittoria del 27 ottobre, come già descritto sopra.
La situazione, dopo un incontro di Alberto Fernandez con Macri nel quale quest’ultimo ha offerto la più ampia collaborazione per favorire la transazione, è stata giudicata, proprio per questa democraticissima dimostrazione di dialogo nell’alternanza del potere, una provocazione da parte dell’ala dura del kirchnerismo. Giova ricordare che nel 2015 Cristina Kirchner rifiutò di partecipare alla cerimonia del passaggio del bastone del potere che dai suoi inizi ha sempre contraddistinto la giovane democrazia argentina, ritenendola una resa senza condizioni: ciò dimostra quanto, se l’opposizione al Congreso de la Nacion non farà il suo dovere, il Paese rischia, come previsto da molti osservatori sia stranieri che argentini da quando Cristina Kirchner decise di presentarsi per la carica a vice nominando Alberto Fernandez a quella di Presidente (caso unico nella storia politica del mondo) di finire nelle grinfie di un’autarchia che è l’anticamera di una dittatura sul modello del Venezuela attuale.
Ma anche all’interno dell’entourage di Macri non sono tutte rose: la sconfitta brucia moltissimo soprattutto per com’è maturata, cioè attraverso errori politici madornali che poi si sono trasformati nella debacle economica che ha accompagnato l’Argentina dal maggio dello scorso anno. Il personaggio in discussione è l’attuale capo gabinetto del Presidente Marcos Peña, protagonista di tutte le errate manovre di palazzo che hanno contraddistinto questi ultimi tre anni e mezzo. Dal licenziamento dell’efficientissimo e geniale ministro dell’Economia Pratt Gay, a quelli altrettanto clamorosi della manager Isela Costantini da Aerolineas e Carlos Melconian che ha fatto rinascere un’entità come il Banco Nacion, come nell’insistenza di convincere il Presidente della certa vittoria su Cristina Kirchner. Ora all’opposizione maggioritaria alle Camere e con un potere che ben difficilmente potrà unirsi, visto che tutti hanno capito come la Kirchner voglia dirigere il Paese, serve un leader capace con una squadra efficiente che possa essere supportato da quei milioni di argentini che non vogliono perdere i preziosi beni della Repubblica e della Democrazia, e che hanno dimostrato proprio in questo ultimo mese di essere disposti a scendere in piazza per difenderli.
L’esempio di Santiago del Cile è quasi lì dietro l’angolo a dimostrarlo.