Grandi manovre in questi giorni a Shanghai, alla fiera cinese sulle importazioni. Si intrecciano le questioni fondamentali per il futuro del pianeta, ambiente e commercio. L’isolazionismo di Donald Trump sta portando a una situazione inedita: il suo no, confermato, all’accordo sul clima di Parigi e le imposizioni di dazi sia alla Cina che all’Europa conducono inevitabilmente a un avvicinamento forzato fra Pechino e Bruxelles. “È Macron il regista di tutto questo” ci ha detto Francesco Sisci, a lungo corrispondente dalla Cina e collaboratore di Asia Times, “certamente sponsorizzato dalla Germania. Si sta imponendo come leader di un’Europa che è allo stesso tempo vessata dai dazi americani e a rischio di essere vittima della guerra commerciale tra Usa e Cina. Questa mossa invece porterà benefici al nostro continente, Italia compresa”.
Emmanuel Macron firmerà oggi un documento congiunto con la Cina sull’irreversibilità del patto sul clima di Parigi, dal quale fra un anno gli Usa saranno fuori. Che significato ha?
L’accordo sul clima è importante, significa che Europa e Cina hanno trovato un allineamento sulla questione climatica. Ma attenzione: non è solo l’aspetto ambientale a essere significativo. La questione cruciale è piuttosto la politica industriale e lo sviluppo tecnologico ad esso collegati.
Cosa significa nel concreto?
Significa mettere alcuni paletti sulla politica industriale, ridefinirla per il futuro, e anche sullo sviluppo tecnologico definire che cosa si potrà comprare e vendere e cosa no. Aumentare la collaborazione tecnologica poi comporta anche aspetti di difesa militare.
E in questo quadro l’America si è tirata fuori.
L’America non è riuscita a trovare un consenso interno. Obama aveva provato a fare dei passi in quella direzione, poi Trump ha cassato tutti i progressi che si erano registrati.
Questo cosa comporta nell’immediato futuro?
C’è un aspetto commerciale importante: se aumenta la collaborazione su ambiente e tecnologie questo va a toccare il merito di tutta la trattativa commerciale fra Cina e Usa. Su questo aspetto la Francia, con un mandato della Germania, gioca una partita importantissima per tutta l’Europa, che potrebbe farla uscire da una posizione molto difficile.
Ci spieghi meglio.
L’Europa rischia di essere vessata dai dazi americani, ad esempio quelli sulle automobili, e viceversa, restando vittima indiretta dello scontro tra Cina e Usa. Ci sarebbero ripercussioni indirette, dato che non c’è un accordo tra Usa e Europa su cosa fare con la Cina. Macron cerca una strada per un accordo separato.
Che ruolo è, nel dettaglio, quello del presidente francese?
Macron sta prendendo con il supporto tedesco la guida dell’Europa e bisogna dire che in questo modo, come conseguenza, sta salvando anche l’Italia.
È ormai un dato di fatto che l’Europa, non solo da adesso, si sta avvicinando sempre di più alla Cina: è così?
Certamente, ognuno cerca l’altro perché l’America sta minacciando guerra commerciale a tutte e due. L’America è la causa di questo avvicinamento.
Allo stesso tempo si parla di riduzione dei dazi americani alla Cina, si parla di un possibile accordo. Che cosa c’è di vero?
Ancora non si sa se e cosa si firmerà. Le ipotesi di firma si assottigliano con il passare delle settimane. Il vertice in Cile è stato rinviato, quindi anche le possibilità di un grande accordo commerciale sono svanite. Gli americani poi insistono da sempre per un’apertura del mercato interno cinese, cosa che appare molto improbabile.
Quindi che possibilità ci sono di ridurre la guerra commerciale fra i due paesi?
C’è la probabilità che si possa arrivare a un micro-accordo, ma potrebbe non essere importante. Gli americani si stanno già lamentando delle importazioni cinesi di prodotti agricoli mirati a conquistare i voti del Mid West che sostiene Trump. La prospettiva vera, in mancanza di un accordo significativo, visto che anche la Fed ha tassi d’interesse molto bassi, è che l’anno prossimo non si verifichi una spinta economica. La Fed potrebbe non avere i mezzi per intervenire e la recessione potrebbe essere molto pesante. E se l’America va in recessione ci andiamo tutti.