Giovannino è un bambino di appena quattro mesi, che i suoi genitori hanno abbandonato subito dopo la nascita all’ospedale di sant’Anna. E la sua storia ha fatto il giro del mondo, ripresa e rilanciata dalla stampa e dal web in tutte le loro diverse forme, suscitando emozioni molto diverse, in cui lui appare come vittima innocente, in cerca di una riparazione che gli restituisca ciò a cui ha diritto. La vita, l’amore di una famiglia e almeno la solidarietà della grande famiglia umana.
Eppure i suoi genitori avevano tanto desiderato di avere un figlio, al punto da ricorrere alla fecondazione eterologa. Lo volevano, ma volevano un bambino sano; qualcuno direbbe “normale” e non se la sono sentita di portare a casa un bambino così gravemente malato. Ne hanno scoperto la strana malattia al primo sguardo, nessuno ha dovuto spiegare loro che Giovanni aveva una malattia rarissima: l’ittiosi Arlecchino. Lo hanno guardato; lo hanno visto e hanno capito che quello che era un sogno stava diventando un dramma. Il bambino presentava una strana malattia, la sua pelle appariva molto molto secca, interamente scandita in forme che ricordavano i rombi del famoso vestito di Arlecchino, la popolare maschera veneziana.
Medici ed infermieri gli hanno subito spiegato che la sua pelle aveva bisogno di essere continuamente trattata con olio di vaselina, per evitare che si spaccasse e apparissero ferite, che potevano infettarsi e diventare difficili da curare. Un vero dramma per chi aveva tanto desiderato di avere un figlio, ma non un figlio così malato, e non se la sono sentiti di riconoscere questo bambino come loro figlio.
Il dubbio, la domanda, che tanta gente si pone è però: come si sarebbero comportati i suoi genitori se il bambino fosse nato naturalmente o tutt’al più con una fecondazione omologa, in cui entrambi avessero avuto la certezza assoluta di essere i genitori biologici del bambino? Lo avrebbero abbandonato ugualmente? È una domanda a cui non possiamo dare risposte, perché, sia pure con molta tristezza, sappiamo che ci sono genitori naturali che, davanti a situazioni così complesse, si spaventano e fuggono.
Molti dei bambini che nascono con questa rara patologia finiscono col morire nelle prime settimane di vita, ma Giovannino è sopravvissuto. Evidentemente è un bambino che vuole vivere, anche se vivere gli costa già così tanta fatica. Difficile dire se il peggio è passato, certo lui ha vinto la sua prima battaglia per la sopravvivenza, grazie alla dedizione incondizionata dei medici e degli infermieri del reparto. Lo descrivono come un bimbo sveglio, a cui piace essere portato in giro, ama sentire la musica ed è molto socievole: un bambino con desideri normali, con reazioni normali, felice di stare al mondo. Ma l’ospedale può farsene carico solo fino al sesto mese di vita, e ora sono in molti a preoccuparsi per il suo futuro, a cominciare dall’assessorato ai servizi sociali che sta cercando la migliore soluzione possibile per Giovanni. Molte famiglie si sono fatte avanti per avviare pratiche per l’affido e tra queste anche la grande famiglia del Cottolengo: tutti si dicono disposti ad accoglierlo e a prendersene cura, ma non i suoi genitori, perché loro una sofferenza così grande non si sono sentiti di affrontarla.
Non c’è dubbio che il bambino sarà costretto ad una vita complicata, lontano dalla luce del sole e dall’aria aperta, costantemente sotto controllo medico. Proprio la difficile condizione di salute rende molto delicato valutare quale sia la soluzione più indicata per aiutarlo a vivere una vita forse breve, ma che tutti sperano anche il più serena possibile. La Piccola Casa della Divina Provvidenza si è dichiarata disponibile ad accoglierlo, ha l’esperienza necessaria per farlo e il calore umano che storicamente contraddistingue questa straordinaria istituzione, capace di accogliere il dolore di molti e trasformarlo in gioia, una gioia su misura per loro nelle condizioni concrete in cui vivono e nella tenerezza costante di chi li accudisce.
Ma, vale la pena ripeterlo, in queste ore è scattata una gara di solidarietà con diverse famiglie che si sono fatte avanti da ogni parte d’Italia per poter adottare il bambino. La sua storia da un lato commuove tutti noi, ma dall’altro pone anche seri, serissimi interrogativi, che vorrei sintetizzare in tre punti, che reputo essenziali.
1. Un figlio lo si accetta così com’è, comunque sia stato concepito, qualunque sia la sua condizione alla nascita e quali che siano i relativi sviluppi negli anni successivi. Amarlo vuol dire accettarlo e accettarlo significa prendersene cura, in modi diversi a seconda dei suoi bisogni che nel tempo possono anche cambiare. Ma un figlio è per sempre. Si ama un figlio perché è mio figlio e non perché è come io lo vorrei. Non amo me stessa in mio figlio; non si divorzia da un figlio; non ci si separa da lui; non lo si ama “a condizione che”. Se pensiamo alle infinite difficoltà che comporta l’iter per l’adozione di un bambino, per valutare se ci sono le condizioni di idoneità, è facile chiedersi perché niente di tutto questo venga fatto davanti alla fecondazione eterologa e chiunque possa chiedere di avere un figlio, salvo poi scartarlo se non è conforme ai suoi desiderata di genitore, ammesso che tale si possa definire chi si comporta in questo modo.
2. La fecondazione eterologa dovrebbe esigere garanzie specifiche dai donatori, proprio sotto il profilo sanitario; garanzie tali da rendere il più consapevole possibile il consenso informato da parte dei potenziali genitori. La legge sulla Pma rendeva semi-impossibile il recesso dagli impegni assunti, accedendo alla fecondazione medicalmente assistita. Precauzioni che andrebbero raddoppiate nel caso dell’eterologa. Più si diffonde la pratica della fecondazione eterologa e maggiori sono i casi di patologie non previste che emergono. L’anonimato del donatore non consente neppure di prevenire casi come quello di Giovannino… A volte però bisogna chiedersi se la difficoltà ad avere dei figli, la possibile sterilità a monte, non sia una difesa naturale davanti al rischio che nascano bambini con malformazioni molto gravi. Forzare troppo la mano espone genitori e figli a rischi diversamente gravi.
3. Le malattie rare, e tanto più quelle rarissime, meriterebbero una presa in carico maggiore in un Paese come il nostro, in cui il Piano nazionale delle malattie rare è fermo da oltre quattro anni. Non sono state stanziate risorse per i farmaci rari, orfani per loro stessa origine, e per di più le case che li producono sono vessate da un carico fiscale che appare oggettivamente ingiusto. Ma soprattutto manca in Italia un qualunque raccordo tra politiche sanitarie e politiche sociali, per cui le famiglie si sentono sole, abbandonate loro per prime. E il timore di non essere all’altezza della situazione, la paura di non rappresentare per quel bambino la migliore opzione possibile per la sua vita, spinge a gesti estremi. Giovannino è stato abbandonato, perché prima ancora sono stati abbandonati i suoi genitori. Hanno avuto paura e non sono stati capaci di spalancare il loro cuore alla speranza. E anche la politica, lungi dal giudicare, ha il suo bel carico di responsabilità.