Abbiamo i loro nomi. Aleksei, Evgenij, Ivan, Artem, Dmitriy, Oleg, Alexei, messi nero su bianco un anno fa da un procuratore americano su carta intestata “Corte distrettuale della Pennsylvania”. Fanno parte di due unità militari del Gru, nucleo speciale dei Servizi segreti russi, quello che su uno dei muri esterni della sede moscovita – al numero civico 20 della Prospettiva Komsomol’skiy – reca scritta la targa “Istituto per la formazione dei direttori d’orchestra militari”. In realtà da lì sono partiti e partono tutti gli attacchi cibernetici ai sistemi informatici di governi, partiti politici, tribunali, enti, aziende, organizzazioni di mezzo mondo. Le 41 pagine di carta intestata alla Corte distrettuale della Pennsylvania sono in realtà un mandato d’arresto per questi spioni russi. Ma la maggioranza dei reati contestati a questi 7 militari, relativi ad accessi (luglio 2016-aprile 2017) non autorizzati a sistemi informatici “finalizzati a campagne mediatiche di disinformazione”, riguardano entità sportive:
Usada (Agenzia antidoping statunitense); Wada (Agenzia mondiale antidoping); Cces (Agenzia antidoping canadese); Iaaf (Federazione internazionale di atletica); Tas (Tribunale arbitrale dello sport); Fifa (Federazione internazionale di calcio); 35 Agenzie nazionali antidoping.
Che l’ordine di arresto di un procuratore statunitense per militari russi si basi su reati connessi al mondo dello sport fa capire su quali confini si sia attestata la rinnovata “guerra fredda” tra le due superpotenze mondiali e i connessi valzer delle alleanze.
Valzer di alleanze dopo gli arresti
Quando infatti i russi escono con le ossa rotte dai Giochi di Londra 2012 (medagliere dimezzato rispetto ai rivali americani), la riscossa con obiettivo “Mondiali di Mosca di atletica 2013 – Olimpiadi invernali di Sochi 2014 – Olimpiadi estive di Rio 2016” passa anche attraverso il doping e la compiacenza di Iaaf e Wada, comprata con corruzione di dirigenti nel primo caso, con elargizioni straordinarie nel secondo (1.141.449 dollari nel triennio 2013-2015).
Prima gli arresti della magistratura francese, poi l’intelligence americana con reclutamento e protezione di pentiti russi che ispirano scoop giornalistici e il Rapporto della Commissione indipendente Pound: tutto ciò forza la fine di queste complicità e fa virare a 180 gradi la politica di Iaaf e Wada. Gli alleati di un tempo a questo punto diventano bersaglio per i russi, che schierano gli hackers per dimostrare come nel bordello non ci siano verginelle, col risultato di rivelare esenzioni terapeutiche imbarazzanti o intrallazzi poco edificanti.
Tenendo presente la cornice di questo contesto, fa i suoi approfondimenti il giudice per le indagini preliminari del processo per doping a carico di Alex Schwazer, in corso di udienza al tribunale di Bolzano. Un procedimento che da diversi punti di vista si sta rivelando senza precedenti nella storia giudiziaria del nostro Paese. L’incidente probatorio per stabilire se ci sia stata assunzione volontaria o meno di testosterone sintetico da parte dell’ex marciatore sta ponendo le basi per aprire un’inchiesta giudiziaria ai danni di chi oggi compare tecnicamente come parte offesa nel processo, cioè Iaaf e Wada, visto che la manipolazione dell’urina dell’ex marciatore per renderla positiva al doping viene descritta nell’ordinanza di ottobre come l’unica “suffragata da elementi indiziari e, comunque, resa possibile dai gravi vizi già accertati della catena di custodia e concretamente attuabile senza particolari difficoltà”.
Il giudice e gli hackers
Già! Ma che c’entra Schwazer con lo scenario da “guerra fredda” descritto in apertura di questo articolo?
C’entra, intanto perché il giudice Walter Pelino dedica 7 pagine della sua ordinanza ad alcune delle mail piratate dagli spioni russi presso il sistema informatico della Iaaf, rese pubbliche sul sito fancybear.net e poi depositate in udienza dalla difesa legale di Schwazer, mail in cui si parla di “complotto” contro il marciatore. Il Gip le considera “autentiche” e chiede alla Procura della Corte d’appello di Colonia assistenza investigativa.
Ma per il giudice cosa provano queste mail? Varie cose. Intanto che nella strenua resistenza a consegnare le urine incriminate di Schwazer (ci sono voluti quasi 20 mesi di battaglie legali per farne arrivare un’aliquota in Italia per l’analisi del Dna) ci sono “indebite pressioni” della Iaaf sul Laboratorio di Colonia perché neghi la consegna delle urine all’autorità giudiziaria; poi che tale opposizione legale si basa su presupposti falsi (custodire le urine per eventuali future cause civili, senza averne mai ordinato formalmente la loro conservazione a lungo termine); infine che proprio questo scambio di mail in casa Iaaf tra il legale Ross Wenzel e il capo dell’antidoping Thomas Capdevielle motiva il cambio di strategia difensiva del Laboratorio dove sono custodite le provette incriminate di Schwazer e che avrà il suo culmine nel dichiarare false quantità di urina presente nelle provette e poi nel tentativo di spacciare al perito del Tribunale aliquote d’urina fuori dalle garanzie legali della catena di custodia.
Sapevano cosa spiare
Di per sé però queste considerazioni non necessariamente portano un aggancio della vicenda Schwazer allo scenario politico-sportivo sopra disegnato. Esso può essere però dedotto dalla vicenda delle mail oggetto dell’attenzione del giudice.
Ragioniamoci. Gli hackers russi con la loro incursione nel sistema informatico della Iaaf avevano pescato e divulgato roba clamorosa, come ad esempio una lista di 40 atleti dal profilo ematico sospetto con a fianco la dicitura “probabile dopato”, mai però sanzionati: vi comparivano, tra gli altri, campioni olimpici, atleti di altissimo livello della scuderia dello statunitense Alberto Salazar.
Con un bottino simile, gli agenti dell’Unità militare 26165 del Gru – nel marasma dei documenti disponibili sul sistema informatico della Iaaf – che bisogno avevano di concentrarsi sullo scambio di mail relativo a una vicenda come quella di Schwazer, che all’epoca (aprile 2017) era relegata a qualche raro trafiletto di poche righe in 41esima pagina su La Gazzetta dello Sport e del tutto ignorata dai media internazionali?
Come mai una vicenda così apparentemente marginale occupa la loro attenzione e come mai soprattutto pensano possa danneggiare la Iaaf, quando l’indagine della magistratura italiana è ancora impantanata nella fase preliminare del disatteso sequestro delle urine di Schwazer?
Erano forse informati di qualcosa che la magistratura italiana ancora non conosceva? Sapevano che attorno a Schwazer si era consumata una porcata e che quelle mail potevano costituirne una prova? E perché i servizi segreti russi avevano questa certezza? Per una soffiata ricevuta o perché loro stessi in quella porcata avevano avuto un ruolo?
Il database del dottor Fischetto…
Che Schwazer rappresentasse un pericolo per i loro interessi lo avevano capito non tanto dall’informativa di Rusada di fine estate 2015, quando l’Agenzia antidoping russa si era sentita da Schwazer fare i nomi dei marciatori russi dopati, ma ben prima, dal database sequestrato dalla Procura di Bolzano a metà giugno 2013 al medico Iaaf Giuseppe Fischetto, nell’ambito dell’indagine giudiziaria sulla prima positività di Schwazer. In questa fase di fatto agisce come consulente della Wada (Agenzia mondiale antidoping) Sandro Donati, sì, quel Sandro Donati che due anni dopo diverrà allenatore di Schwazer e che redigerà materialmente la memoria che servirà poi alla Wada a costituirsi parte civile durante il processo.
In quel database furono rilevati 12.359 test ematici relativi a oltre 5mila atleti del periodo 2001-2012. Di questi test, 1400 rappresentavano variazioni più che sospette del passaporto biologico di 700 atleti: il 30% erano russi e il dato clamoroso è che rappresentavano l’80% delle medaglie olimpiche e mondiali della Russia di quel periodo!
Sandro Donati – d’accordo con la Procura – consegna copia del database alla Wada, cosa che certo non fa piacere ai russi. Ma i danni per loro sono limitati giacché stranamente (?) i dirigenti dell’Agenzia mondiale antidoping paiono ignorare la documentazione e non prendono alcun provvedimento.
Dopo il programma-denuncia della tv tedesca Ard/Wdr Geheimsache Doping: Wie Russland seine Sieger macht non possono più far finta di niente e a gennaio del 2015 mettono in piedi una Commissione indipendente di inchiesta formata dai canadesi Pound e McLaren e dal tedesco Younger. Ma tale Commissione apparentemente non viene informata della presenza del database sequestrato a Bolzano.
… salta fuori solo in tv
Solo ad agosto la Commissione pare accorgersene, quando ancora la tv tedesca Ard/Wdr, stavolta insieme al Sunday Times, lo diffondono con grande clamore mediatico.
A questo punto la Commissione utilizza tale documentazione per redigere due capitoli del proprio report, puntando l’indice sulle negligenze/complicità dentro la Iaaf. Le sue conclusioni avranno l’effetto di sospendere il Laboratorio antidoping di Mosca, annullare gli appuntamenti sportivi internazionali previsti in Russia e soprattutto escluderla dalle Olimpiadi 2016.
Ma la cosa inquietante che si evince dal testo del rapporto della Commissione è che la fonte da cui acquisisce quel database non è interna alla Wada, che ne era in possesso da almeno 9 mesi, ma è un programma della tv tedesca!
Detto per inciso, il rapporto punta l’indice anche contro il Laboratorio antidoping di Losanna, che distrugge 67 provette di altrettanti marciatori russi, finite lì per essere rianalizzate dopo l’accusa di essere state ripulite dal Laboratorio di Mosca in cambio di 30mila rubli cadauna. Era già finito nella bufera ai tempi del ciclista Lance Armstrong questo centro, accusato dall’Usada di complicità col texano. Talmente screditato che la stessa Agenzia antidoping svizzera aveva preferito rivolgersi all’estero, al Laboratorio di Colonia, per i controlli dell’Europeo 2015 di scherma di Montreux. Guarda caso, trattasi dello stesso Laboratorio da cui transitano le urine (stavolta negative) di Schwazer prelevate a Roma nel giugno 2016 e sulla cui concentrazione di Dna la Wada ha prodotto in Udienza a Bolzano il valore (impossibile senza manipolazione) di 14.013 pg/uL…
Il movente ipotizzato dal Gip
È così che, in un mutato scenario politico-sportivo, all’epoca del blitz informatico degli spioni russi (aprile 2017), il caso della coppia Donati-Schwazer a questo punto si trasforma per i servizi segreti russi in una utile clava da maneggiare contro ex alleati divenuti nemici, un caso da strumentalizzare per chi evidentemente lo conosce bene…
Contesto ambientale dunque rovesciato rispetto a quello del 2015-2016, periodo su cui invece è chiamato a decidere il Tribunale di Bolzano. Il giudice Walter Pelino considera chiave la deposizione in sede processuale (16 dicembre 2015) resa da Schwazer, decisiva poi per la condanna dei medici Fischetto e Fiorella. La mette in relazione con la decisione della Iaaf – un’ora dopo – di ordinare il controllo antidoping di Capodanno 2016, che costerà la squalifica al marciatore.
Il Gip ritiene movente plausibile dell’ipotetica manipolazione di quelle urine quello di “porre in pessima luce il testimone Alex Schwazer come pure il suo allenatore, da sempre paladino dell’antidoping e perciò garante della correttezza dell’atleta dopo la squalifica del 2012”. L’influenza che tale discredito avrebbe potuto esercitare sull’esito della vicenda processuale dei due medici poteva costituire “un ottimo motivo per far manipolare le provette”.
Quel tentativo di screditare l’unico teste d’accusa fallì visto l’esito del processo di primo grado ai due medici: sentenza di condanna a due anni di reclusione per favoreggiamento omissivo al reato di doping.
Ma i tasselli da sistemare in questo complicato e ipotetico puzzle sono ancora tanti: in Tribunale avranno ancora molto da lavorare…