La Trilogia Autunnale del Ravenna Festival è da dieci anni un appuntamento da non mancare: tre opere legate da un tema e con una chiara cifra registica che possono essere viste ed ascoltate in tre giorni di seguito e che vengono replicate in tre sere. A volte sono in coproduzione con altri teatri; a volte, vengono noleggiate dopo la prima ravennate. I cantanti sono spesso giovani. Giovani sono il coro e gli orchestrali – il complesso Cherubini creato da Riccardo Muti e rinnovato ogni quattro anni. Il Teatro Alighieri ha le dimensioni e l’acustica ideali.
Il segno più eloquente del successo dell’operazione è la crescente presenza di pubblico stranieri, che viene a Ravenna per la Trilogia e nei tre giorni può ammirare le bellezze della città e dei suoi monumenti. Sotto il profilo musicale, oltre all’impronta unica della regia, c’è rigore filologico: niente tagli, lingua originale. Altro aspetto importante è che il Ravenna Festival di cui la Trilogia è parte integrale si finanzia con fondi propri (biglietteria, noleggio di spettacoli, sponsor) al 60%: è un caso unico in Italia, superato solo dalla Fondazione La Scala.
Quest’anno la Trilogia (1-10 novembre) è imperniata su la donna, l’amore e la morte: Norma di Vincenzo Bellini, Aida di Giuseppe Verdi, Carmen di Georges Bizet. Una s scelta coraggiosa perché Norma è considerata così impervia che non si vede alla Scala da 42 anni ed a mia memoria, la versione originale di Carmen sono decenni che non viene messa in scena in Italia. Norma e Aida hanno la regia di Cristina Mazzavillani Muti e Carmen di Luca Micheletti.
Norma la prima opera che il compositore catanese ebbe modo di programmare e comporre con calma. In accordo con il librettista Felice Romani, Bellini ambiva ad un lavoro che non fosse principalmente un’occasione per gli interpreti di dare sfoggio alle loro abilità vocali (con un’orchestrazione essenzialmente di supporto) ma in cui musica e narrazione si integrassero. Tratta da un dramma francese allora – si era nel 1830 – di grande successo, univa una tragedia personale di amori e tradimento con pulsioni rivoluzionarie nazionali. Per questo motivo, è uno dei lavori rimasti nei cartelloni durante il Risorgimento, quando il bel canto era stato soppiantato dal melodramma, prima donizettiano, poi verdiano. Sempre per questa ragione, sono possibili adattamenti moderni quali quello presentato l’anno scorso a Salisburgo che ha ottenuto l’Oscar internazionale della lirica per il 2013 e che situa la vicenda nella Francia occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Il successo è stato tale che è stato riproposto ed ha avuto una lunga tournée in numerosi Paesi europei. Nel 2002 una produzione di Jossi Wieler e Sergio Morabito, rispettivamente Sovrintendente e direttore artistico dell’Opera di Stoccarda, è stata ambientata nella Germania negli anni della seconda guerra mondiale: nel giugno 2014, si è vista al Teatro Massimo di Palermo, dove questo titolo è di casa (46 edizioni dal 1830).
La Norma ravennate non cede alla tentazione di spostare l’ambientazione. Segue rigorosamente il libretto. La regia, le scene ed il visual design (Ezio Antonelli), i costumi (Alessandro Lai), i video (Vincent Longuemare e Davide Broccoli) ci portano nella Gallia occupata dai romani. Molto bella la descrizione della foresta e gli effetti speciali, specialmente l’invocazione alla luna in Casta Diva. L’orchestra diretta da Alessandro Benigni è concepita, come ai tempi di Bellini, essenzialmente quale supporto alle voci. Molto efficace il coro- a quello del complesso Cherubini si è aggiunto il Coro Lirico Marchigiano – guidato da Antonio Greco. Gli elementi coreografici sono curati dal DanzActori Trilogia d’Autunno.
Norma è soprattutto un’opera di voci, soprattutto femminili. Al debutto alla Scala nel 1831 nei due ruoli principali si confrontarono due “leonesse” dell’epoca, Giuditta Pasta e Giulia Grisi, due soprano di grandissima fama. E’ invalsa in seguito la prassi di affidare il ruolo di Norma ad un soprano e quello di Adalgisa ad un mezzo soprano, ma i due ruoli possono essere anche invertiti come nell’edizione di Salisburgo con Cecilia Bartoli. In questa edizione, si riprende filologicamente l’edizione originale. Norma è la coreana Vittoria Yeo la cui carriera in Europa è stata lanciata proprio a Ravenna nella Trilogia del 2013 e Adalgisa Asude Karayavuz di nazionalità turca, tecnicamente un mezzo soprano con coloratura scura, che ha spesso cantato ruoli da soprano. Il loro duetto Mira o Norma nel secondo atto è stato un contesto di bravura ed agilità che ha meritato applausi a scena aperta. Il protagonista maschile, il tenore Giuseppe Tommaso, è stato affetto da un’acuta infiammazione alle vie respiratorie tanto la sera della prima (1 Novembre) quanto alla recita a cui ho assistito (5 Novembre); quindi, ha solo recitato la parte, mentre la ha cantata, su un lato del palcoscenico, il giovane Riccardo Rados , mettendo in luce un’ottima vocalità e meritandosi applausi. Oroveso è il solido basso Antonio Di Matteo.
Grande successo. Ovazioni alle due protagoniste femminili.
Lo spettacolo è coprodotto con il Teatro Galli di Rimini dove sarà in scena il 29 Novembre ed il primo Dicembre. Vale un viaggio.