Sarà rally di fine anno? Oppure l’irrazionale corsa verso l’azionario delle ultime ore, capace di innescare una contemporanea svendita del reddito fisso che giovedì ha riportato il bond francese a dieci anni in territorio di rendimento positivo per la prima volta dal 16 luglio, terminerà con un epilogo simile a quello dello scorso Natale? Difficile dirlo. Troppe, davvero, le incognite. Una cosa è certa: se sarà corsa dal fiato corto, se gli indici molleranno presto la presa dopo nuovi record in serie, il segnale sarà ben più serio di quello del 2018. All’epoca, infatti, tutti sapevano che il mercato si basava unicamente su buybacks ed espansione irrazionale dei multipli, quindi si muovevano con la circospezione di chi non vuole perdere il treno ma nemmeno la ghirba. Inoltre, c’era una solida ancorché inconfessata base di sostegno di un possibile reverse in negativo del mercato del Toro: serviva infatti spaventare, mettere alle corde la resistenza della Fed. E solo un crash delle Borse poteva inviare un segnale sufficientemente chiaro per cominciare una discussione al riguardo.
Fu così, tanto che con l’arrivo del 2019, la Federal Reserve bloccò le redemptions dei titoli che aveva a bilancio, quantomeno per evitare drenaggi impliciti di liquidità. Fu il varco del Rubicone: la normalizzazione dello stato patrimoniale e dei tassi cominciata da Janet Yellen e proseguita da Jerome Powell era già ufficialmente finita. Missione compiuta, signor Presidente! Oggi, invece, il quadro è mutato. Per il semplice fatto che, al netto di tutte le operazioni di intervento diretto in cui è coinvolta dal 17 settembre scorso, la Fed ha aumentato il proprio stato patrimoniale di 200 miliardi in meno di due mesi, tornando sopra la soglia psicologica dei 4 triliardi di dollari totali.
Il risultato? Ce lo mostra questo grafico: il rally che stiamo vivendo in queste ore, nemmeno una settimana di cali dal 17 settembre in poi per Wall Street. Solo verde. E attenzione, perché rispetto allo scorso Natale, un’altra enorme variabile si è dissolta nell’aria: la panzana della Bce che, a settembre di quest’anno avrebbe addirittura rialzato per la prima volta i tassi. Detto fatto, esattamente come la Fed, l’Eurotower è in Qe ufficiale, in fase di partenza. I tassi? Se ne riparlerà più avanti. Molto più avanti. Inoltre, la Cina sta muovendosi con interventi spot, come il taglio del tasso a 1 mese operato a inizio settimana, pochi punti base che però hanno mandato un enorme segnale: se serve, siamo pronti. E, soprattutto, abbiamo margine per intervenire con decisione.
Insomma, gli arsenali sono schierati. E, almeno in due casi su tre, già operativi. E se nonostante questo, qualcosa andasse fuori giri e i mercati azionari perdessero spinta? A quel punto, duplice risposta. Primo, déjà vu totale dell’anno scorso, al fine di mettere definitivamente spalle al muro la Fed, stante anche l’anno elettorale delle presidenziali Usa che entra nel vivo. Secondo, il mercato mostra degli spill-over più marcati di quanto anche gli stregoni della dissimulazione finanziaria non pensassero. Sono tempi interessanti quelli che stanno per aprirsi, perché ci daranno risposte che lo scorso anno non era possibile ottenere. Capiremo quanto ci si è spinti oltre, capiremo quanto di ancora riconducibile a un minimo di logica di mercato è presente in un casinò che si muove completamente sconnesso dai fondamentali, in primis sui margini reali di profitto: i quali, a Wall Street sono in modalità di squeeze tipica da fine ciclo ed entrata in recessione.
E se fosse questa la chiave, rispetto al passato? Ovvero, se la Fed volesse guadagnarsi la sua parte di gloria nel grande teatrino globale e decidesse di innestare la marcia alluvionale del Qe per anticipare ed evitare la recessione negli Usa? Se ci vendessero la panzana che la politica monetaria di stimolo è la risposta ai problemi di eccessivo indebitamento del mondo, non sarebbe politicamente bellissimo? D’altronde, Donald Trump sta battendo sul tasto della Fed in modalità stamperia da un anno mezzo. E anche in campo Democratico, sia la Warren che Sanders sarebbero ben felici di sovrintendere a una nuova ondata di liquidità, potendola ribattezzare con i nomi più esotici e accattivanti in vista del voto.
E pensate che Christine Lagarde si farebbe troppi scrupoli a entrare in guerra contro la Bundesbank, ora che la Germania vede pesantemente messa in discussione la propria leadership dall’attivismo sempre più smaccato di Emmanuel Macron (a proposito, non doveva essere politicamente morto per mano dei “Gilet gialli”?)? Non a caso, gli appelli agli Stati con ampia disponibilità fiscale affinché spendano per riattivare un minimo di crescita continuano ad aumentare di intensità, non ultimo quello della Commissione Ue.
Attenzione, perché i mercati azionari sul finire di quest’anno potrebbero dirci quale tipo di rotta prenderanno le politiche monetarie a livello globale, più che dimostrare o meno al mondo quanto manipolati e manipolabili siano gli indici. Indicazioni importanti, dati di fatto che difficilmente potranno essere lasciati appesi alla corda dell’implicazione generica, poiché gli Usa vanno al voto e quando l’Impero sceglie la sua guida, non ci si può permettere dibattiti accademici. Serve l’azione.
Pensate davvero che l’attacco senza precedenti di Emmanuel Macron contro la Nato e la sua presunta “morte cerebrale” dalle colonne dell’Economist, duramente criticato dal Governo di Angela Merkel, sia stato qualcosa dal sén fuggita? Comincio a chiedermi se, al netto del ridimensionamento del sovranismo a incidente strumentale della storia recentissima, l’Unione europea non sia sull’orlo di un disfacimento simulato, di un morphing che ancora stentiamo a cogliere. Perché il senatore Matteo Salvini dovrebbe aprire a Mario Draghi come candidato Presidente della Repubblica, solo per fare uno sgarbo a Romano Prodi? Paradossalmente, la più infuriata per la mossa è da subito parsa l’alleata – troppo in crescita, forse – Giorgia Meloni.
Tutto muta, in continuazione. E, paradossalmente, proprio quel covo di manipolazione pavloviana dei mercati potrebbe oggi essere la bussola più affidabile per capire la realtà, quantomeno leggendola in modalità contrarian. La Borsa parla, i rendimenti obbligazionari anche. Da qui ad aprile, meglio ascoltarli bene. Perché potrebbero sussurrare cose che mai avremmo pensato.