Sono trascorsi otto giorni di cui solo sei lavorativi e quanto volevamo che non si realizzasse è invece accaduto. Nonostante i nostri sentimentalismi e l’auspicio di poterci sbagliare, «il mercato e il suo sempre cinico epilogo», ha emesso la sua (prima) sentenza: il differenziale tra il nostro decennale domestico e quello tedesco è salito riportandosi a un valore superiore ai 160 punti base rispetto ad area 140 a cui facevamo riferimento nel recente intervento. Nel corso delle ultime ore sono molti gli osservatori che riprendono il tema dello spread soprattutto alla luce dell’avvenuto “sorpasso” dell’Italia nei confronti della Grecia. Ebbene sì, è successo anche questo e, tutto in poche ore.
I titoli ellenici vengono considerati “più sicuri” rispetto a quelli italiani nonostante il rating dei due paesi sia molto diverso e paradossalmente sia a nostro vantaggio. Ma stiamo assistendo a un paradosso? La risposta, la nostra amara risposta, è no. È facile, molto facile, commentare oggi questa inaspettata verità, ma, analizzando più attentamente le dinamiche di molteplici fattori correlati, gli elementi che portano a tale conclusione si erano già manifestati nel corso dell’anno e in tempi cosiddetti non sospetti. Invitiamo tutti voi a rivedere alcuni approfondimenti su queste nostre pagine ovvero l’articolo di marzo, il successivo di aprile e il più recente di ottobre: proprio pochi giorni fa. I «cento punti» e l’agognata e temuta «concorrenza dei titoli greci» sono diventati amara (e cara) realtà.
Non accadeva dai tempi della crisi del 2008. Nulla togliendo alla Grecia, è significativo constatare che il nostro Bel Paese sia secondo a quest’ultimo in ottica di affidabilità finanziaria operativa (ovviamente se si considera il solo valore dello spread). Tale momentum è riscontrabile non solo sul tradizionale benchmark (titoli a dieci anni), ma anche su altre scadenze: le più vicine a 5 e 7 anni e a quella più lontana dei 15 anni. Stiamo parlando di differenze “impercettibili” di veri e propri centesimi che a tratti potrebbero mutare in decimali.
Dal punto di vista strettamente operativo è opportuno riportare l’incremento di rendimento avvenuto nel corso di queste ultime giornate: a fine ottobre il decennale italiano registrava un YTM pari a +1,079% mentre oggi abbiamo visto quota +1,31%. Un aumento di oltre 20 punti base in poche sedute che se raffrontati ai 27 fatti registrare nell’arco degli ultimi due mesi (dai minimi di settembre ai massimi dello scorso ottobre) dovrebbero far riflettere.
L’amara (e cara) realtà – lo vogliamo ancora ripetere – ha di fatto penalizzato le nostre tasche: quelle del risparmiatore che ha subìto una flessione di poco inferiore ai cinque punti percentuali sul titolo di stato detenuto in portafoglio (rif. andamento Btp future da settembre a oggi) e – ovviamente – le casse dello Stato italiano in termine di esborso d’interessi.
«Tenuto conto dell’insieme dei dati che emergono dal mercato e di quanto potrebbe emergere in chiave politica – in ottica di medio termine – possiamo avanzare il seguente scenario: quotazioni in diminuzione per il nostro Btp e valore dello spread in salita. Un’amara (e costosa) conclusione qualora trovasse riscontro nei fatti». Tale era la nostra conclusione di pochi giorni fa e tale convinzione – purtroppo – rinnoviamo nell’odierno intervento.
Al termine del mese la Commissione Ue emetterà il proprio giudizio sul nostro bilancio e le affermazioni finora pervenute da Bruxelles sono tutt’altro che positive. Lo scenario appare preoccupante: il cinismo del mercato da una parte e l’oggettività della Commissione dall’altra. Noi, il nostro Paese, al centro del contendere. Potrebbe non essere un “anno bellissimo” né l’attuale come neppure il prossimo ormai alle porte.