I giorni del Sud e il muro da abbattere

In Italia c’è ancora un muro che deve cadere e che occorre abbattere al più presto: quello tra Nord e Sud del paese. L’evento “I giorni del Sud” vuole dare un contributo decisivo

Esiste una netta distinzione tra il mondo immaginato qualche giorno dopo la caduta del muro di Berlino e quello che si è presentato nella realtà a trent’anni di distanza. Senza speranza erano milioni di uomini al di là della cortina e pieni di speranza entravano nel mondo occidentale. Quel mondo aveva vinto la sfida e si preparava con la globalizzazione ad estendere benefici e diritti su ogni continente. Ogni cosa andava cambiata e messa in soffitta, dalla classe politica che aveva guidato i paesi occidentali alla geografia da loro immaginata, dalle idee di solidarietà e condivisione sociale (sconfitte dalla storia) alla visione dell’economia di mercato come luogo delle regole, il tutto sostituito da un’immagine turbocapitalistica dell’economia che con la finanza innovativa avrebbe aggiustato ogni cosa.

Mancava poco che il punto di svolta si materializzasse concretamente, ma gli effetti combinati delle mancate realizzazioni di interi stati sociali e di interi territori abbandonati dal benessere, o mai da esso sfiorati, e delle nuove tecnologie hanno attivato la spirale egoistica ed egotica che ha costruito personalismi, nazionalismi e fanatismi al posto di una società solidale e condivisiva.

Ogni domanda di riscatto ha trovato autonomamente una propria risposta ed è mancata una visione collettiva su come affrontare e risolvere crisi e problemi.

L’esito è un sistema in pieno corto circuito che cerca di uscire individualmente e singolarmente dalle diverse crisi senza trovare un agire comune. Fenomeno non nuovo nel Paese, da particulare di Guicciardini ai nazionalismi dello scorso secolo, la tentazione è sempre quella di rinchiudersi e accusare gli “altri” delle proprie sventure.

Ora che il Paese si trova a un ennesimo bivio, le tentazione di rifugiarsi nel ventre caldo del nazionalismo egoistico e del territorialismo di riflusso è forte in chi si sente precario, smarrito e senza una visione nitida del percorso. Cioè tanti. 

La reazione di chi a ciò non si arrende non può che essere quella di proporre modelli di cooperazione e di cointeressenza tra territori e soggetti accettando di confrontarsi sulle proprie ed altrui diversità. Accettando che si parta da luoghi diversi, ma se la strada è giusta e condivisa il punto di approdo sarò lo stesso. E farlo dal basso, cercando autonomamente quelle strade di dialogo e confronto che sembrano presidiate da milioni di Checkpoint Charlie istituti dai nuovi egoismi che vorrebbero precludere il dialogo, è una scelta precisa fatta da chi non accetta di sottrarsi al confronto o alla collaborazione, dandola vinta a quanti urlano che al di là dei cavalli di Frisia ideologici o geografici vi è la causa di ogni male.

La cortina di ferro che zio Winston vide calarsi in Europa oggi circonda individui e territori in modo più diffuso. E nel Paese il Mezzogiorno vive al di là di quel muro in modo drammatico. Invisibile prima, perché coperto dall’ipocrisia geografica di trovarsi in Occidente, ormai la barriera invalicabile che segna il confine tra una società avanzata e diritti negati, economia al collasso e crisi epocali come l’Ilva è palese, come è sempre più evidente la presenza di due sistemi che non si parlano. Al Nord il boom di Milano che fagocita crescendo come macro-metropoli risorse, talenti e benessere. E al Sud desertificazione e recessione economica e sociale.

Il muro esiste, ma pare che pochi lo percepiscano come tale e sognino di abbatterlo. Mettere in contatto questi mondi facendo cadere la “cortina del Mezzogiorno” definitivamente è l’ispirazione che ha guidato i primordi de “I Giorni del Sud”. Un evento voluto fortemente dalla Fondazione per la Sussidiarietà, dall’Unione Industriali Napoli e da Confindustria Caserta che hanno immaginato un percorso autonomo dal basso di dialogo e proposta nel quale hanno voluto coinvolgere, abbattendo un’altra cortina, quel pezzo di Mediterraneo che è al di là di quel mare da cui giungono battelli ma che ha in sé molte, in realtà, occasioni di confronto e dialogo.

Il Marocco, con i suoi esponenti delle imprese e delle istruzioni, sarà ospite del Sud, di Napoli e Caserta, e sarà lì che si confronteranno energie vive e produttive del Paese. Dal basso, in autonomia ma con l’attenzione di istituzioni e di esponenti politici, si offrirà un modello di dialogo tra imprese, tra imprese ed istruzioni e tra sistemi economici che potrà offrire un percorso che attiri sempre più soggetti e sia un esperimento di innovazione del dialogo.

Abbattere quel muro che divide il Paese al suo interno ed il Mediterraneo nel suo centro deve essere l’impegno di chi crede che solo connettendo le sinapsi sociali di quei diversi territori si possa proporre una visione economica e sociale alternativa a chi quei muri e quelle cortine li vuole ben alti e minacciosi per offrire alla propria visione forza e consenso. E questo presuppone anche che si dia corso a una straordinaria iniziativa di apertura e promozione del dialogo economico, accompagnando questi percorsi con iniziative politiche che elimino gli ostacoli agli investimenti; serve che operi nel Mezzogiorno e nel Sud del Mediterraneo una politica di accrescimento economico e culturale reale.

La battaglia per tenere Ilva nel Mezzogiorno, per maniere Whirlpool aperta, per offrire semplificazioni fiscali e burocratiche agli investitori è la battaglia che serve ad abbattere un muro più antico e che appare più alto e minaccioso di sempre, dividendo il Paese in due sistemi uniti dalla lingua e poco altro. Se non si alzerà un nuovo Kohl che abbia il coraggio di agire in questa direzione, sarà perché non avremo avuto la capacità di creare le precondizioni perché la politica se ne avveda ed agisca. Ed è per questo che “I giorni del Sud” sono l’inizio di un percorso, un primo passo, una prima idea e, speriamo, una prima picconata.

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