La decisione con la quale il giudice Danilo Pereira Junior ha disposto la scarcerazione di Lula (Ignacio Luis Lula Da Silva), l’ex Presidente Brasiliano condannato a 8 anni e 10 mesi per corruzione, apre un caso che può trasformarsi, per effetto domino e dentro la crisi che sta vivendo attualmente il Continente latinoamericano, in un sostanziale “liberi tutti” che in definitiva potrà creare gravissimi problemi alla giustizia di questi Paesi. Ma non solo: a poche ore dalla liberazione dell’ex Presidente, a San Paolo c’è stata una manifestazione gigantesca contro di lui, mentre, alla sua uscita dal carcere, Lula è stato accolto trionfalmente da un gruppo di sindacalisti.
Un Brasile spaccato in due, ma la cosa più incredibile è la felicità con la quale in Europa, specie in Italia, è stata accolta la notizia, così come nella riunione in corso a Buenos Aires tra leader progressisti latinoamericani facenti parte del Gruppo di Puebla. Insomma, l’ex sindacalista e Presidente brasiliano continua a far discutere tra rifiuto e beatificazione, quasi si trattasse di un martire.
Cerchiamo di capirci qualcosa e partiamo da una base molto semplice: Lula ha subito un primo processo per corruzione nel quale è stato condannato, ma non è entrato in carcere. La prigione l’ha conosciuta dopo che pure in seconda istanza è stata confermata la condanna. Quindi tutto regolare in un Paese che è stato investito negli anni scorsi da scandali di corruzione giganteschi quali quello denominato Odebrecht (che ha interessato gran parte dell’America Latina) e il singolare Lava Jato, altro giro di tangenti che sono state scoperte attraverso controlli iniziati in un’ attività di lavaggio auto.
Quello che è successo venerdì scorso, e che ha dell’incredibile, risiede nel fatto che un giudice, il già citato Danilo Pereira Juinior, ha interpretato la Costituzione brasiliana e introdotto una norma che estende i gradi di giudizio a quattro, prima di compiere la condanna. E a questo punto per Lula, insieme ad altri 5.000 detenuti, si sono aperte le porte del carcere.
Nonostante moltissimi interpretano questo fatto come una dichiarazione di innocenza da parte della giustizia brasiliana, la condanna nei suoi confronti resta in piedi e, per la norma denominata “Ficha limpia ” (fedina pulita) non potrà assumere alcun incarico politico, né, ovviamente, partecipare a elezioni. Per questo hanno molto colpito le sue prime dichiarazioni dopo la liberazione: sua intenzione è quella di ricostruire un Brasile “con allegria” dicendo di essersi sempre ritenuto innocente e che il magistrato che lo ha fatto condannare (Sergio Moro) “è una canaglia”, aggiungendo che “a partire da ora né lui, né il Presidente Bolsonaro dormiranno sonni tranquilli”. Insomma, pure in Brasile, così come in Argentina, sta prendendo corpo quello che viene definito “il ministero della Vendetta”.
Perché in Argentina, dove il peronismo kirchnerista ha vinto le elezioni presidenziali, si continuano a proporre processi sommari contro giornalisti colpevoli, attraverso le loro indagini professionali, di aver sollevato il coperchio sulla corruzione. Si parla di una vera e propria eliminazione del ministero della Giustizia per sostituirlo con una giustizia popolare, manovrata da giudici militanti. Ed è pure chiaro che in un Continente dove già la giustizia ha grandi difficoltà di applicazione e nel quale la corruzione dilaga in forma straordinaria (le sole tangenti in Argentina durante 13 anni di kirchnerismo hanno superato i 35 miliardi di dollari, facendo apparire i nostri politici coinvolti in Mani Pulite dei ladri di biciclette) la questione, anche a livello popolare, provocherà divisioni enormi.
Jair Bolsonaro, il Presidente eletto in Brasile proprio dietro la protesta popolare contro la corruzione politica (che ha investito in gran parte il partito di Lula ma pure altri) da meno di un anno in carica, ha visto la propria popolarità calare notevolmente a causa di vari scandali tra i quali l’ultimo in ordine di tempo quello di essere accusato di essere il mandante dell’omicidio dell’attivista politica socialista Marielle Franco. Ma sono piovute altre accuse inerenti pure i giganteschi incendi che hanno coinvolto e distrutto migliaia di ettari in Amazzonia nei mesi scorsi. Lui ha respinto tutto, ma la sua immagine è in picchiata: ragion per cui molti sospettano che la liberazione di Lula costituisca una spina nel fianco del suo potere e possa ridare energia al Partito dei lavoratori (Partido do Trabalhadores) ora che il suo leader storico è tornato.
L’intero Brasile soffre di gravissimi problemi di sicurezza e di carceri che, da luoghi di detenzione, si sono trasformate in centri di poteri della criminalità organizzata tanto da essere dichiarate ingestibili. L’attuale decisione su Lula potrebbe a breve estendersi a più dei 5.000 che ne hanno approfittato questa volta ma non solo: tornando a una prospettiva generale essa rischia di produrre in alcune nazioni una spaccatura tra populismo e liberalismo (partigiano di una Repubblica con uno Stato di diritto) che potrebbe portare a estremizzazioni notevoli e di conseguenza instaurare un dialogo basato anche sulla violenza, di cui si iniziano a intravedere episodi proprio in altri Paesi latinoamericani.