Cdp in Ilva? Se c’è un piano

La pressione per un intervento della Cdp a sostegno dell’Ilva cresce con l’inasprirsi dello scontro tra Governo e Arcelor Mittal

La pressione per un intervento della Cassa depositi e prestiti a sostegno dell’Ilva cresce di ora in ora, mano a mano che si inasprisce il contenzioso fra Governo italiano e ArcelorMittal. Il ministro per l’Economia, Roberto Gualtieri – azionista di maggioranza della Cdp – si limita a confermare che la Cassa è certamente inclusa “nella cassetta di attrezzi utili”, ma che per ora non è previsto il suo utilizzo nel “cantiere Taranto” aperto dal premier Giuseppe Conte. Quest’ultimo sta resistendo alla forti sollecitazioni degli M5S a “nazionalizzare” la piastra siderurgica che il gruppo indiano vuole abbandonare: ufficialmente per via dell’abolizione dello “scudo penale” sul risanamento industriale ed ecologico dell’Ilva; di fatto perché intenzionato a ridimensionare l’impianto, mettendo in esubero un dipendente su due.



Forse anche Conte – premier da 18 mesi, “vicino” al partito di maggioranza relativa in Parlamento barricato a Taranto sul giustizialismo – è fra coloro che hanno lasciato Ilva scivolare verso l’orlo del baratro (certamente in compagnia dei premier precedenti). Di sicuro oggi è obbligato ad aprire il dossier-Taranto e a lavorarlo in tempo reale nei suoi diversi profili emergenziali: di politica industriale, di stabilità sociale in una grande città del Sud, di tutela ambientale, di legalità, non da ultimo di relazione dell’Azienda-Italia con i grandi investitori internazionali. E non c’è dubbio che la Cdp si presenti come il bazooka più efficace: anche se ovviamente con molti “se” e “ma”, di cui si sono fatte interpreti negli ultimi giorni soprattutto le Fondazioni bancarie, azioniste di minoranza qualificata al 15%.



Queste ultime, per voce di Giuseppe Guzzetti, leader storico dell’Acri, si sono sempre fin qui opposte – ad esempio – a un intervento in Alitalia: azienda in crisi ormai strutturale e in perenne “cantiere di ristrutturazione”. Lo statuto stesso della Cdp – che amministra oltre 300 miliardi di risparmio postale – vieta l’intervento in aziende in dissesto. È vero che proprio con l’ingresso delle Fondazioni, una quindicina d’anni fa, la Cassa ha sviluppato un profilo nuovo di banca di sviluppo e di holding industriale: non solo cassaforte di pacchetti importanti di giganti statali (Eni, Poste, Fincantieri), ma poi via via di fondi di private equity strategico (F2I nelle infrastrutture, Cdp Equity Cdp industria) con acquisizioni in aziende competitive, anche in situazione di turnaround. Per non parlare del recente ingresso in Tim: non con meri fini ristatalizzatori, ma guardando allo sviluppo delle banda larga nel sistema-Paese (anche Open Fiber è partecipata dalla Cassa).



L’utilizzabilità di Cdp in Ilva e l’eventuale misura di un investimento nella holding ArcelorMittalItalia vanno chiarite a questo livello. Ilva è un “salvataggio” o un “piano”? È una “crisi” o una “riconversione” industriale? E il Sud “di sempre” o il Sud “già e non ancora”: quello che è stato capace di attirare ArcelorMittal e che avrebbe diritto a un’ultima chance?

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