Ludovica Zigon è l’erede di una stirpe di imprenditori meridionali che hanno sempre creduto nel Sud e nella sua capacità di competere nel mercato globale. Ha la responsabilità commerciale dell’azienda di famiglia, la Getra di Marcianise (Caserta), è ha assunto ormai un ruolo importante nelle scelte strategiche del gruppo.
Per Ludovica Zigon i mercati esteri, e in particolare la distribuzione dell’energia elettrica, sono pane quotidiano. Con due stabilimenti di produzione nel casertano e 300 dipendenti, il gruppo è partner delle principali utility e dei più importanti contractor in Italia e nel mondo operanti nel settore della produzione e distribuzione elettrica. A Marcianise e a Pignataro Maggiore l’azienda progetta e realizza trasformatori elettrici di grande e media potenza e sistemi di interconnessione delle reti di alta tensione. Con l’obiettivo di proporre prodotti sempre più performanti allo scopo di migliorare i rendimenti di efficienza, affidabilità, sicurezza e impatto ambientale. Il gruppo enumera due branch all’estero, una a Dubai e l’altra a Casablanca, a presidio rispettivamente dei mercati del Medio Oriente e del Nord Africa. Una delle cinque società che compongono il gruppo, la Getra Service, è specializzata in commissioning e global service. Nord Europa, UK, Nord e Centro Africa, Medio Oriente e America Latina i mercati di elezione.
Cosa l’ha più colpita della prima giornata di discussione dei “Giorni del Sud”?
l’Italia può e deve sfruttare la propria posizione strategica nella Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta che ci collega ai mercati dell’Eurasia, e allo stesso tempo tenere vivo il suo ruolo del Mediterraneo. Per il nostro Paese si tratta di due partite di grande valore strategico, su cui si gioca gran parte della nostra capacità di competere, in futuro, negli scenari globali. Due prospettive da cui il nostro Mezzogiorno, che detiene una posizione baricentrica nel quadrante euro-mediterraneo, può trarre grande beneficio.
Dal suo osservatorio privilegiato quali sono le evidenze che può segnalare in tema di competitività della sua azienda e del sistema Italia?
Come Paese che tuttora detiene, pur con le criticità che conosciamo, il ruolo di seconda potenza manifatturiera in Europa, dobbiamo essere pronti a cogliere le opportunità che oggi sono alla nostra portata. Siamo così chiamati, per così dire, a una prova di forza per conquistare influenza nelle decisioni fondamentali riguardanti il potenziamento delle rotte del Sud. E possiamo farlo tramite una forte partnership con la Cina, impegnata nella realizzazione della Nuova Via della Seta, e con il continente africano, in particolare l’area magherbina, al fine di preservare la nostra rilevanza nel Mare Nostrum.
In tale scenario il nostro Mezzogiorno può esercitare una funzione primaria come piattaforma protesa nel Mediterraneo?
Sicuramente. E non solo sul piano della connessione con i traffici internazionali, l’incremento dell’economia marittima, lo sviluppo della logistica integrata, contando anche sulla spinta che proviene dal raddoppio del Canale di Suez. Il Mediterraneo che oggi è visto come il mare della drammatica realtà dell’immigrazione può essere invece il mare delle grandi opportunità, anche nel settore energia.
Parla dell’apporto proveniente dalle forniture di gas e petrolio alla nostra domanda energetica?
Non solo. Il Mediterraneo è il mare che può assicurare all’Europa continentale le produzioni di energia fotovoltaica che sono più costanti e stabili nei Paesi del Maghreb e nell’area sahariana. Forniture che potrebbero essere il nerbo di una infrastruttura di rete transcontinentale, capace di portare in Europa l’energia elettrica da fonte pulita prodotta a Sud. È l’obiettivo del progetto Medring.
Di che cosa si tratta?
È il progetto portato avanti dalla Unione Europea per chiudere ad anello le infrastrutture elettriche di 22 Paesi rivieraschi del Mediterraneo, a cui si uniscono Portogallo, Macedonia e Giordania. Lo scopo è disporre di interconnessione efficiente ed omologazione delle infrastrutture elettriche di tutto il bacino, senza cui non c’è possibilità di trasferire massicci flussi di energia elettrica in maniera adeguatamente efficiente.
Un contesto in cui il Mezzogiorno si presenta come hub di un sistema di cui l’Europa ha bisogno per sostenere il suo Green Deal?
Esattamente. Al termine di questo percorso c’è la supergrid paneuropea che integra le produzioni di solare africano con quelle ottenute da fonte idroelettrica nei Balcani e quelle da fonte eolica assicurate dalle piattaforme offshore nel Mare del Nord.
E come si inserisce in questo scenario un Paese africano a noi prossimo come il Marocco?
È un paese in via di sviluppo che dal 2010 ad oggi ha raddoppiato la domanda di energia e vuole liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili. Il suo piano energetico è ambizioso e prevede il superamento delle rinnovabili a danno di petrolio, gas e carbone entro il 2030, raggiungendo così livelli che solo pochi paesi al mondo possono vantare.
Quindi non parliamo di ipotesi futuribili?
No, perché le attuali politiche hanno già portato alla produzione del 35% del fabbisogno nazionale di energia elettrica grazie a gigantesche strutture “green” costruite nel bel mezzo di un deserto nel 2016.
Stiamo parlando di un grande giacimento di energia alternativa?
Con una capacità di 580 megawatts e un’area di 3000 ettari, ossia 30 chilometri quadrati, si tratta di uno dei più grandi sistemi a concentrazione solare o CSP del mondo che, a regime, può produrre abbastanza energia elettrica da supportare una città delle dimensioni di Praga o due volte Marrakesh.
Il Marocco quindi ha scelto la sostenibilità ambientale?
Entro il 2020 si è imposto l’obiettivo del 42% di energia ricavata da fonti rinnovabili. E non è un caso, credo, se nella sua capitale fa tappa una delle gare della FormulaE, simbolo della rivoluzione energetica che sta ormai investendo il mercato automobilistico.