Mentre a Hong Kong le proteste a favore della democrazia continuano, Pechino ha ribadito ancora che i governi stranieri dovrebbero smettere di “interferire negli affari interni”, senza fornire prove a sostegno di tale accusa. Per rafforzare questa tesi i media gestiti dallo Stato spiegano come la seconda economia del mondo rispetti una politica di “non interferenza” quando si tratta di relazioni internazionali. Il rispetto reciproco della sovranità e integrità territoriale e la non interferenza negli affari internazionali di altri paesi sono due dei principi di base del diritto internazionale, che dovrebbero essere rispettati da tutti i paesi. Invece, secondo un report del 4 novembre redatto dalla commissione parlamentare britannica per gli affari esteri, la Cina sta ponendo in essere una vera e propria infiltrazione nei campus universitari in tutto il Regno Unito fino ad arrivare a minacciare la libertà accademica.
In particolare il report ha sottolineato i rischi relativi alla libertà di espressione da parte degli Istituti Confucio legati al ministero della Publica istruzione cinese e che costituiscono un vero e proprio legame tra la Cina e il resto del mondo con lo scopo di promuovere la cultura e la lingua cinese. Tuttavia, come hanno mostrato numerose relazioni sia dei servizi segreti francesi che di quelli americani, gli Istituti Confucio sono un efficacissimo strumento di soft power, cioè di propaganda capillare, come ha indicato Rachelle Peterson, della National Association of Scholars.
D’altronde, nel 2009, proprio Li Changchun, allora capo della propaganda per il Partito comunista cinese e membro del Comitato permanente del Politburo, definì gli Istituti Confucio una parte importante dell’insediamento di propaganda all’estero della Cina. Sia attraverso un ampio e capillare finanziamento da parte della Cina in Gran Bretagna, in Australia e in Nuova Zelanda – ad esempio in Australia i finanziamenti all’Istituto Confucio hanno raggiunto la cifra di 22 miliardi di dollari – sia facendo leva sulla presenza degli studenti cinesi. Alla fine del 2018 gli studenti cinesi in Australia erano 40mila e 11mila in Nuova Zelanda.
La Cina sta promuovendo una lenta e graduale infiltrazione anche attraverso la diaspora all’interno dell’istituzioni educative europee ed extra-europee. Inoltre l’influenza cinese sui campus universitari australiani e neo-zelandesi è così profonda e capillare che criticare il governo di Pechino per le sue scelte di politica estera è considerato inaccettabile e per evitare qualsiasi reazione da parte della comunità cinese residente le autorità accademiche hanno deciso di autocensurarsi. Ad ulteriore conferma della pericolosità per la libertà accademica e in generale per la libertà di espressione, un report di Human Rights Watch ha sottolineato come il governo cinese abbia intensificato la sorveglianza sia sulla diaspora sia sugli studenti che sugli studiosi cinesi presenti in Gran Bretagna, in Nuova Zelanda e Australia.
Insomma la politica di non interferenza sembra valere a senso unico per i paesi europei ed extra europei, ma non per la Cina, che si sente autorizzata a porre in essere operazioni di propaganda e condizionamento a tutto campo.