Una manovra 2020 complessa e ancora divisiva; il caso Ilva che ha spaccato in due la maggioranza giallo-rossa; l’acqua alta a Venezia che certo aiuta mediaticamente a distrarre l’opinione pubblica dalle magagne del governo, ma nel contempo certifica ancor più l’indecisione e l’inconsistenza del premier Conte. Di fronte a questa roulette che gira all’impazzata, l’ex ministro Dc Calogero Mannino consegna idealmente a Nicola Zingaretti un ruolo da croupier. Tocca al segretario del Pd prendere il pallino e “collocarlo” sulla casella giusta: andare alle elezioni anticipate.
“Zingaretti – spiega Mannino – deve capire una cosa molto semplice: se il governo dura in queste condizioni di inefficienza, è il Pd che paga il conto. Mentre oggi il Pd, paradossalmente, candidandosi a essere l’alternativa a Salvini, costringe il leader della Lega a collocarsi sulla linea dei popolari e sbarazza tutto quello che c’è in mezzo. Con il voto anticipato non solo salva il profilo e la prospettiva del suo partito, ma Zingaretti emenda l’errore commesso ad agosto e aiuta a fare chiarezza. In democrazia solo con il voto si raggiungono risultati di chiarimento politico. I trasformismi non hanno mai chiarito nulla”. Per Mannino il Pd deve prendere esempio dalla Spagna: “Tutti hanno attaccato il presidente spagnolo perché ha sciolto per la quarta volta il Parlamento. Ma da questo voto è venuto fuori un chiarimento, recuperando le forze di sinistra e con un Partito Popolare che ha ridimensionato Ciudadanos”. Insomma, all’Italia serve uno shock, una defribillazione in grado di far tornare il battito della politica italiana a un ritmo più normale.
Partiamo dal caso Ilva, che ha spaccato il governo, tanto che ora Conte non sa cosa fare. Quanto è destabilizzante questa situazione di frattura, di stallo e di indecisione?
Su questa vicenda la maggioranza difficilmente potrà sopravvivere. C’è una constatazione cui a questo punto il Pd non può sottrarsi: l’alleanza con M5s non regge sul piano della governabilità.
Perché?
Il M5s non è un partito idoneo a governare questo paese. E non lo è perché i Cinquestelle si rifanno a un’ideologia-non-ideologia che circola nel mondo, quella della decrescita felice. Hanno un grosso problema culturale prima ancora che politico. Il Pd, invece, è un partito che ha sempre sostenuto la tesi sviluppista, fin dai tempi del Pci che, di fronte alla scelta di De Gasperi di avviare la ricostruzione industriale del paese, di utilizzare uno strumento come l’Iri e di creare un’area di imprese a partecipazione pubblica, non si schierò su posizioni contrapposte, bensì fece – diciamo così – un’opposizione consenziente. Quindi il Pd non può che essere un partito sviluppista.
Altrimenti?
Cosa si fa dell’Italia? Il rischio mortale, che già stiamo correndo con il caso Ilva, è di dare un colpo fatale alla nostra credibilità, già oggi ridotta al lumicino. In secondo luogo, c’è un intero settore dell’industria italiana che, fermandosi Taranto, si può bloccare: dalla siderurgia minore alla metallurgia fino alla lavorazione delle leghe. Cioè da Piombino a un pezzo di Liguria, da tutta l’Emilia Romagna a Brescia, da Padova a Udine, si ferma un pezzo dell’economia italiana?
Cosa dovrebbe fare, allora, il Pd?
Zingaretti ha a disposizione una sola arma, recuperando ciò che non ha usato ad agosto: andare alle elezioni anticipate. Con qualunque rischio. Le elezioni anticipate metteranno in moto un processo di tendenziale riordino della vita politica italiana.
In che senso?
Guardiamo al fronte dell’opposizione. Salvini sarà costretto ad accelerare la sua scelta strategica definitiva: non può presentarsi al paese, dal Friuli al Sud, come il capo del partito che ha lasciato chiudere l’Ilva, soltanto perché ha dominato l’idea di decrescita dei Cinquestelle. Sarebbe un’ammissione di debolezza rispetto al vecchio alleato. E poi la Lega non può presentarsi come il partito sovranista, perché le regioni del Nord, Emilia compresa, hanno una prevalente vocazione europeista, e penso che gli industriali di quelle aree abbiano già invitato Salvini a darsi un’aggiustatina. Se vuole vincere bene le elezioni, deve presentarsi davanti agli italiani non più come campione della Le Pen, ma con l’immagine di un rapporto avanzato con il Ppe. Credo, anzi, che Salvini, a passo lento lento, abbia cominciato a farlo.
E se il Pd non decide di andare alle elezioni anticipate?
Si lascia erodere e travolgere dall’iniziativa di Renzi? Dà la possibilità al M5s di rimanere ancora in piedi, quando in un’elezione anticipata può essere ridotta a meno della metà dei voti che ha preso nelle politiche del 2018? Subisce l’azione di Di Maio, visto che l’errore più grave di Zingaretti non è stato tanto formare questo governo, ma l’essersi appiattito sulle posizioni del M5s, dal taglio dei parlamentari alla conferma del reddito di cittadinanza? No, il governo deve andare in crisi, perché non risolvendo il problema Ilva, per il Pd non ha proprio alcun senso tenere in piedi il Conte-2.
Zingaretti dimostrerà questo coraggio oppure, essendo nel pieno della preparazione di una manovra 2020 molto complessa e sotto stretta vigilanza Ue, potrebbe essere indotto ad aspettare fino al 31 dicembre, cioè non prima della sua approvazione?
La decisione di Zingaretti non deve essere immediata, ma andrebbe attuata a gennaio, prima del voto in Emilia-Romagna.
Una mossa del cavallo, insomma: scompaginare i tasselli sul tavolo per rimettere paradossalmente ordine nel mosaico dell’attuale politica italiana?
Esatto. È una manovra molto difficile, perché dentro il Pd tutti cercheranno di riproporgli il compromesso. Ma questo governo non gli sta dando niente. Anzi, Zingaretti ha sbagliato pure a caricarsi del ministero dell’Economia.
Eppure Gualtieri è molto stimato a Bruxelles e a Strasburgo.
Sì, ma Gualtieri ha rivelato una grande debolezza, gestendo una manovra che non è guidata da alcuna scelta, neppure su un tema tanto caro al Pd come la lotta alle disuguaglianze. È una manovra troppo timida, frammentata, non dà niente a nessuno e mette tasse. Meglio un’operazione unica sul cuneo fiscale: dare più soldi ai lavoratori dipendenti delle attività commerciali e industriali. Un intervento selezionato su cui concentrare più risorse. E poi va affrontato il problema dei nuovi investimenti, altrimenti il Pil non riparte più. Specie se a gennaio arrivasse la botta dell’Ilva.
In tanti ci provano, ma dopo gli annunci, gli investimenti restano sempre sulla carta. Come si possono rendere effettivamente operativi?
Bisogna prendere tutti i soldi già disponibili e con procedure dittatoriali realizzare gli appalti che si possono fare.
Procedute “dittatoriali”?
Basta un decreto legge e basta una norma sola: il Governo nazionale approva i progetti e i progetti esecutivi possono andare all’appalto. Senza interferenze e affrontando un nodo delicatissimo: ci vorrebbe una moratoria della giurisdizione amministrativa e di quella penale connessa. L’eccesso di giustizialismo in Italia sta creando problemi dappertutto.
Nelle sue uscite pubbliche – dalla visita ai terremotati del Centro Italia subito dopo la formazione del governo giallo-rosso alle visite prima agli operai di Taranto e poi a Venezia sommersa dall’acqua alta – Conte non ha saputo offrire soluzioni. Quanto si sta dimostrando “unfit” nel ruolo di presidente del Consiglio?
Non riesce a concretizzare l’intuizione che ha del proprio ruolo. Lui sa che nel mondo dei Cinquestelle può rappresentare una leadership alternativa a quella di Di Maio. Ma lì si tratta di vedere che cosa hanno deciso i due padroni del M5s: Casaleggio e Grillo. Perché se loro tirano per Di Maio, allora l’intuizione di Conte rimane solo velleitaria e infondata.
Il M5s si sta sfaldando e lo stesso Di Maio ha prima ammesso che “è un momento difficile per i Cinquestelle” e poi ha dichiarato che “chi rema contro può anche andarsene”. Quanto può indebolire Conte?
Indebolisce Conte nella misura in cui questo sfaldamento non è uno spezzamento. Se si spezzasse in un troncone attorno a Di Maio e in un altro attorno a Conte, il premier avrebbe ancora le carte in mano per far sopravvivere il suo governo. Nel caso dell’Ilva, per esempio, Conte potrebbe tornare al tavolo della trattativa e offrire ad ArcelorMittal due cose: un nuovo scudo penale e un intervento della Ue per gli investimenti necessari al risanamento ambientale del sito produttivo. Oggi Bruxelles può essere disponibile a fare ciò che un anno fa non avrebbe mai fatto, perché si tratterebbe di un intervento di tipo “protezionistico”, un intervento sugli oneri allegati e connessi, non un intervento diretto sul processo industriale, quindi non configurabile come aiuto di Stato.
La maggioranza giallo-rossa sembra orientata verso un sistema elettorale proporzionale. Giorgetti ha però chiesto regole condivise, candidando la Lega a partecipare alla stesura della nuova legge; Renzi ha dato la sua disponibilità ad aprire al confronto, mentre Pd e M5s si sono mostrati più cauti, se non riottosi. Sono solo ballon d’essai?
Fino a questo momento sì. Tutti vogliono il proporzionale per guadagnare la possibilità di autonomia della propria forza, però tutti hanno la riserva dell’alleanza obbligata: dentro il Pd ci sono i vecchi teorici del maggioritario che influenzano Zingaretti, perché con il maggioritario si terrebbe a bada il M5s; Giorgetti, che è un bravo vecchio doroteo della Dc, si muove per una linea di garanzia a Berlusconi, nel senso che se c’è un maggioritario la Lega deve fare un’alleanza ufficiale con Forza Italia.
A proposito di centrodestra: continua a incassare e ingrassare sugli errori e sull’inerzia della maggioranza di governo e dice di voler mandare a casa Conte. Ma lo dice solo per guadagnare tempo?
Salvini non vuole andare subito alle elezioni, perché intende logorare questa maggioranza fino in fondo e perché ha bisogno di tempo per aggiustare il suo profilo senza essere incalzato. Ma nel frattempo deve affrontare un problema delicato: rinnovare la propria classe dirigente. Non può diventare maggioranza di governo senza portare in Parlamento forze adeguate, più moderate, europeiste e preparate.
(Marco Biscella)