“Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando la attività dei Ministri”. Lo prescrive da 71 anni l’articolo 95 della Costituzione repubblicana. Ed è francamente difficile riconoscervi l’attuale premier, Giuseppe Conte, che – a leggere le prime pagine dei grandi quotidiani – interpreta ormai principalmente il suo ruolo lanciando “appelli” ai suoi ministri, su temi centrali come quello della tassazione di famiglie e imprese.
Sembra ormai superato il tempo dell’ironia politico-mediatica sul premier “avvocato del popolo”: e – soprattutto – il governo non è più una diarchia fra due forti co-premier di fatto come lo erano i leader di Lega e M5s nella precedente stagione “giallo-verde”. Erano Matteo Salvini e Luigi Di Maio a dirigere – giusta o sbagliata – la “politica generale del governo”. Il ruolo del Conte-1 era il risultato di infinite pressioni esterne a “contenere” l’avvento al governo di due forze politiche democraticamente affermatesi in un Paese sovrano e pur tuttavia fortemente sgradite e avversate dentro e fuori il Paese.
Il Conte-2 è invece formalmente il premier a tutto tondo di un esecutivo nato lo scorso agosto con la pretesa dichiarata di garantire un adeguato governo del Paese fino alla fine della legislatura. Un primo ministro di pura mediazione fra le quattro forze della nuova maggioranza giallo-rossa non era affatto previsto dal programma, anzi: avrebbe dovuto chiudere la fase del “contratto di governo”, giudicata anomala e fallimentare dai fan dell’ultimo “ribaltone”.
Non da ultimo: un Conte unelected & unfit non nasconderebbe, d’altronde, ambizioni politiche (è anzitutto a suo supporto che si starebbe formando una nuova formazione politica cattolica sotto gli auspici della Santa Sede e di una parte dell’episcopato nazionale). E’ un ulteriore profilo di una situazione che pare aver ormai sconfinato dalla Costituzione materiale, se non di quella scritta. E che sta premendo anche sull’unica vera figura costituzionale di garanzia: la Presidenza della Repubblica.
Non si può certo sindacare – anzi – il presidente Sergio Mattarella quando riceve le rappresentanze sindacali dei lavoratori dell’Ilva. Quarant’anni fa il presidente Sandro Pertini risolse direttamente il contenzioso amministrativo e sindacale sorto in seguito alla smilitarizzazione del controllo del traffico aereo. E sollecitò la sostituzione del prefetto di Avellino dopo il terremoto in Irpinia. Ma sono state – e restano – situazioni eccezionali.
In un Paese normale le crisi grandi o piccole sono all’ordine del giorno: ma ogni giorno si presume che un governo sia al lavoro per risolverle o – meglio ancora – per prevenirle. Se per voce del suo stesso premier un esecutivo dichiara la sua incapacità di farlo, appena due mesi dopo essere entrato in carica, c’è davvero qualcosa che non va: nella democrazia italiana, prima ancora che nella vita politica.