A Hong Kong non ci sarà un’altra piazza Tiananmen. A sostenerlo è l’ex generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica tra i più autorevoli a livello italiano e internazionale. “La Cina non può permettersi azioni di forza come quelle fatte in passato, i tempi sono cambiati e deve mantenere una faccia rispettabile davanti al resto del mondo”. La situazione a Hong Kong, però, è in una pericolosa fase di stallo dopo sei mesi di manifestazioni continue, nel corso delle quali il livello di violenza nelle strade è drammaticamente aumentato: nell’università occupata in questi giorni dagli studenti la polizia ha sequestrato oltre 4mila bottiglie molotov e ha proceduto a un migliaio di arresti. “Si tratta dell’evoluzione delle vecchie proteste degli ombrelli – spiega Jean -, che adesso vedono il coinvolgimento in massa degli studenti universitari”. Intanto il livello delle richieste si alza: mai con la Cina, chiedono i giovani. “Ma la Cina non permetterà mai la piena indipendenza di Hong Kong”.
Aumentano le violenze da parte dei manifestanti. Secondo lei si tratta di un piccolo gruppo che vuole alzare il livello dello scontro?
No, direi proprio di no. Siamo davanti alla prosecuzione della vecchia protesta degli ombrelli, un fenomeno che ha sempre visto protagonisti i giovani e che adesso si è esteso anche alle università. Ma non credo proprio ci sia un gruppo manovrato dalla Cina per arrivare a uno scontro aperto. La Cina non potrà mai intervenire con la repressione armata, perderebbe la faccia davanti al mondo intero.
Le proteste però vanno avanti da sei mesi, c’è un braccio di ferro che sembra non trovare soluzione e Pechino in questi giorni ha sostituito il capo della polizia di Hong Kong. Che cosa significa?
È vero che ci si fronteggia da molti mesi, ma finora fortunatamente c’è stato un solo morto negli incidenti di piazza.
I manifestanti ora chiedono la totale indipendenza dalla Cina. Potrà mai essere accolta una tale rivendicazione?
No, Pechino non lo permetterà mai. A un certo punto la Cina seguirà la classica strategia, vecchia di millenni, del tempo lungo: aspettare sulla riva del fiume il cadavere che passa. Prima o poi i manifestanti cederanno, la resilienza del sistema politico cinese è molto superiore a quella della popolazione di Hong Kong.
Nelle ultime ore il leader della maggioranza repubblicana al Senato americano ha chiesto al presidente Trump di sostenere pubblicamente i manifestanti. Lo farà?
È molto difficile che Trump possa assecondare una cosa del genere in un momento in cui sembra che Cina e Stati Uniti possano giungere a un accordo sulla guerra dei dazi. Di conseguenza non ha interesse a forzare la mano, a meno che ai senatori repubblicani si aggiungano anche quelli democratici. Allora, di fronte anche al rischio impeachment, Trump potrebbe essere disponibile a fare qualsiasi cosa.
In che senso?
Fare qualsiasi dichiarazione a livello internazionale, che però lascerà il tempo che trova.
La Cina non gradirebbe certo una interferenza americana, non crede?
La Cina non sarebbe contenta, ma non potrebbe farci nulla, se non cercare di minare la posizione degli Usa in qualche altra parte del mondo.
Ad esempio?
È difficile prevedere dove. Forse in America latina, dove la Cina ha preso posizione a favore dei partiti della rivoluzione boliviana e venezuelana, Chavez, Morales, Maduro.
Ma non è che sia potuta intervenire concretamente…
La Cina non può certo sfidare apertamente gli Usa. È molto più probabile che, pur nella sua posizione di debolezza, lo faccia Putin.
In che modo?
La sua mentalità si è formata sulla logica strategica del comunismo sovietico e dei grandi strateghi sovietici: colpire all’improvviso l’avversario, sfruttando ogni possibilità. Chi può trarre vantaggio dal contrasto fra Usa e Cina è la Russia, oggi sottoposta alla pressione economica cinese che continua a espandersi nell’ex impero zarista. E questo a Putin non fa piacere.
Che ruolo potrebbe svolgere Mosca?
Nella competizione fra Usa e Cina la posizione della Russia diventerebbe più importante e diversi paesi internazionali cercheranno il sostegno di Putin in cambio di qualche concessione economica.