Nel comunicato stampa diffuso dalla Commissione europea emerge chiaramente la realtà dei fatti. Nello specifico si tratta di due evidenze di cui una è quella che riguarda la realtà, dura, molto dura, di noi italiani. In occasione della presentazione dei pareri sui documenti programmatici di bilancio 2020 degli Stati membri della zona euro, sia Valdis Dombrovskis che Pierre Moscovici, evidenziano le due diverse facce della stessa medaglia chiamata Europa. Si legge infatti, parole del Vicepresidente Dombrovskis, come – da una parte – la Germania e i Paesi Bassi possano «utilizzare i propri margini di bilancio per sostenere gli investimenti» (ma potrebbero fare di più), mentre – dall’altra – Belgio, Francia, Italia e Spagna «dovrebbero approfittare della minore spesa per interessi per ridurre il loro debito» ovvero «la loro priorità». Sempre per quest’ultimi paesi, definiti come «Stati membri con livelli di debito molto elevati», lo stesso Commissario Moscovici, sottolinea come la Commissione inviti a «perseguire politiche di bilancio prudenti», mentre per i più parsimoniosi – Germania e Paesi Bassi – ci sia un incoraggiamento a «investire di più»; il tutto all’insegna di un unico e comune obiettivo: il rafforzamento della zona euro.
Entrambi gli interlocutori di Bruxelles hanno adottato verosimilmente il medesimo approccio: un monito e un’esortazione mediante un cosiddetto, e definito nello stesso documento, «approccio differenziato». Il tutto all’insegna di una diversità in sede europea contraddistinta da differenze evidenti e da non sottovalutare: «I documenti programmatici di bilancio di Germania, Irlanda, Grecia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Austria risultano conformi al patto di stabilità e crescita nel 2020». Estonia e Lettonia «risultano sostanzialmente conformi», mentre «Belgio, Spagna, Francia, Italia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia e Finlandia presentano un rischio di non conformità al patto di stabilità e crescita nel 2020» con l’ulteriore (e temuta) puntualizzazione che si «potrebbe determinare una deviazione significativa dal percorso di avvicinamento al rispettivo obiettivo di bilancio a medio termine» e non solo, infatti, «per Belgio, Spagna, Francia e Italia le proiezioni segnalano anche la non conformità con il parametro per la riduzione del debito».
Non ci troviamo di fronte a un’Europa con diverse velocità, bensì a veri e proprie conglomerati di economie che appaiono ostaggio del proprio presente, vincolate al loro passato, e in balia del prossimo futuro in un «contesto di un’economia mondiale ed europea che si sta indebolendo» e con «rischi crescenti che pesano sulle prospettive di crescita economica dell’Europa» (sempre parole tratte dal comunicato stampa).
Tralasciando, ma non sottovalutando, gli aspetti che riguardano i Paesi a noi vicini, è opportuno sottolineare la nostra realtà quotidiana. Il recente giudizio emesso dall’agenzia di rating Dbrs sembra esser passato inosservato. Era scontata la sua valutazione, ossia la conferma del precedente giudizio (BBB+), ma il voler indicare nello stesso rapporto «l’elevato livello di incertezza politica e l’economia stagnante» del nostro Paese non ha scosso l’umore dei vari osservatori. Con molta probabilità, se non pressoché certezza, è stato sottovalutato “il timing” di questa considerazione. Le agenzie di rating hanno già manifestato – senza alcun fraintendimento – il loro timore sull’evoluzione della politica italiana e quanto esposto da Dbrs non è un caso isolato. Il nostro Paese si lascia alle spalle l’esito del recente voto in Umbria e si appresta ad affrontare i risvolti di quello che potrebbe accadere in Emilia a gennaio. I mercati lo sanno e si sono già mossi, da settembre. Sempre i medesimi attori finanziari hanno successivamente continuato a seguire questa convinzione e lo spread è salito, siamo agli attuali giorni.
Ora, rispetto a qualche settimana fa, abbiamo sul tavolo importanti interessi da affrontare. Il primo fra tutti: la riforma Esm che, qualora fosse come sembra trapelare, potrebbe rappresentare un innesco per la nostra prossima implosione. Appare assurdo, ma, a conti fatti, il nostro debito si finanzia attraverso altro debito (sempre nostro): medesimi venditori, medesimi compratori, ma contraddistinti da una sostanziale differenza di intenti. Lo Stato, quale venditore, ha necessità. Il “Cliente”, in qualità di compratore, non è obbligato a soddisfare tale bisogno. E a rafforzare questo tipo di convinzione è arrivata nelle ultime ore la dichiarazione del presidente dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Antonio Patuelli, in tema di ristrutturazione del debito per chi acquista bond: «Non li compreremo più. Voglio dire: siamo liberi di comprare quello che vogliamo, non abbiamo vincolo di portafogli. Noi abbiamo in questa fase circa 400 miliardi di debito pubblico italiano. Come investitore il mio problema è che cosa la Repubblica fa per tutelare il debito pubblico. Il problema è il debito pubblico italiano, che non è il debito delle banche» (fonte Askanews).
È proprio così. Il problema è chiaro. Il problema è il debito pubblico italiano, il problema è il nostro, il problema c’è stato, c’è e ci sarà. Il problema, se non affrontato e risolto, diventa una costante realtà ovvero un “non problema”. Al nuovo Governo che subentrerà il compito di affrontare il problema. Noi cittadini saremo la soluzione.