Nel sottobosco dei palazzi della politica, mentre le prime file sono impegnate a dibattere sulla legge di bilancio e sul nuovo capestro chiamato Mes (Meccanismo europeo di stabilità), qualcosa si muove su un tema che non scalda i cuori. E non procura voti, ma li sposta: è la nuova legge elettorale. Faccenda per addetti ai lavori salvo poi accorgersi, a urne aperte, che essa contiene imbrogli o porcate. La riforma è necessaria dopo la modifica costituzionale che riduce il numero di parlamentari, con il ridisegno dei collegi e la revisione del sistema di attribuzione dei seggi.
Argomento di rara aridità. Ma se la Lega ha distaccato a occuparsene il suo uomo più istituzionale e miglior negoziatore, cioè Giancarlo Giorgetti, significa che la partita è importante assai. Gli interessi di Matteo Salvini sono chiari: sistema maggioritario, non proporzionale, lo stesso che era in vigore nel ventennio della Seconda repubblica e ha contribuito a fissare il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra. Lo schema si era incrinato con l’avanzata dei grillini, che hanno formato un terzo polo senza mai avere avuto la forza di sfondare il tetto che avrebbe loro garantito la maggioranza parlamentare. Il maggioritario era poi saltato con la pronuncia della Consulta.
Ora però il M5s è in forte calo e il vecchio schema si riaffaccia con la proposta di Giorgetti. Alla quale ha risposto, proprio ieri, un’apertura di Nicola Zingaretti: “Bene la proposta Giorgetti, lavoriamo insieme per un sistema maggioritario. Noi e la Lega saremo i due poli del futuro bipolarismo”. Per il segretario del Pd bisogna “aiutare la semplificazione e formare coalizioni di governo chiare e stabili”.
È una mossa importante. Significa in primo luogo riconoscere la Lega come interlocutore, e non più “il nemico” o un’accozzaglia di fasciorazzisti. E allo stesso tempo è un segnale di sfiducia verso i grillini. Pd e M5s stanno insieme al governo ma su una questione strategica e di lungo periodo come la nuova legge elettorale vanno ognuno per la propria strada. Vuol dire che la maggioranza giallorossa è alla frutta e che le elezioni sono alle porte?
È presto per dirlo, ma al momento non si direbbe. Difficile che Zingaretti voglia imbarcarsi rapidamente in una campagna elettorale mentre sta cercando ancora di puntellare la propria leadership nel partito. E il ritorno del maggioritario consoliderebbe la sua posizione con il testa a testa tra lui e Salvini.
Ma il malcontento verso l’alleato a 5 Stelle è tangibile: se il Pd dovesse trattare con il M5s la nuova legge elettorale non ne uscirebbe mai. E poi bisogna disinnescare la mina vagante di Matteo Renzi. Con un sistema proporzionale, Renzi e Di Maio continuerebbero a fare ciò che fanno ora, cioè pretendere più potere rispetto ai voti e poi fare l’ago della bilancia. Con il proporzionale, prima si vota e poi si trattano le alleanze; con il maggioritario l’inverso.
Probabilmente nemmeno Salvini si illude di poter andare a votare in primavera: il suo vero obiettivo è arrivarci prima dell’elezione del nuovo capo dello Stato. Cioè entro il 2021, visto che il mandato di Sergio Mattarella scade nel febbraio 2022. La proposta Giorgetti, e la scelta di sedersi autorevolmente al tavolo della trattativa, serve al numero 1 leghista per un duplice scopo: contare su una legge elettorale a lui favorevole e accreditarsi come leader forte ma dialogante. Da mesi Salvini ha gettato le felpe a favore della giacca, ora accompagnata da camicia e cravatta, ora dai maglioncini dolcevita come gli “intellò” d’un tempo. La trattativa sulla legge elettorale rientra così nel suo riposizionamento “istituzionale”.
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