Mentre il vecchio patriarca ha il suo bel daffare con femori malconci, vertenza Vivendi, partite del Monza, e della politica non potrebbe fregargli meno, in Forza Italia c’è subbuglio da mane a sera. Apparentemente il tema è l’alleanza con Salvini, caldeggiata dai nordisti e osteggiata dai sudisti (ma i blocchi non sono poi geograficamente così precisi). Sottotraccia la partita è ben diversa e non molto nota neppure ai parlamentari di Forza Italia (che non hanno mai contato molto, men che meno in questa legislatura in cui i gruppi somigliano a uno comitiva in vacanza romana di studio).
È in corso il regolamento di conti più duro da quando esiste Forza Italia: la lotta per il controllo del partito, ridotto ormai a un rottame ma più che mai appetibile perché produttivo di una trentina di seggi parlamentari, pochi per il vecchio Silvio, che infatti se ne infischia, tanti per chi si illude di giocare una partita nuova.
Le due contendenti sono due donne, due sole, nell’esercito di amazzoni che il berlusconismo ha portato in Parlamento nei suoi venticinque anni di storia: Licia Ronzulli e Mara Carfagna. Si odiano, ferocemente. Non lo nascondono, stranamente. Lo scontro è aperto e portato avanti con tattiche diverse come le due protagoniste.
Mara è mediatica, glamour, politicamente corretta: belle battaglie su ogni tema che piace alla gente che piace, uscite calibrate, comunicazione istituzionale. Licia è donna di frontiera, versione femminile di Salvini, twitta, istogramma, posta video come il Capitano, di cui è amica e fan da quando sedevano assieme al parlamento europeo.
Mara ha dalla sua l’ala sudista del partito, che non conta niente, Licia può contare sull’asse del Nord e la fiducia di Niccolò Ghedini, vero patron del partito, che però starebbe entrando in gelosia per il peso acquisito dalla potentissima senatrice.
A differenza di Ghedini, assenteista cronico, la Ronzulli a Roma ci va quel tanto che le serve a dominare i gruppi, la Bernini è sua seguace, la Gelmini lo è divenuta non senza aver prima provato ingenuamente atteggiamenti autonomi.
Ora nei gruppi si sa una cosa sola: i magnifici trenta destinati a tornare in Parlamento li sceglierà lei, la più combattuta delle segretarie del presidente, divenuta leader sul campo di ciò che resta dell’invincibile armata azzurra.
In queste ore Mara sta provando a rilanciare, ma il tempo è scaduto: le resteranno, per un po’, le glorie di Montecitorio e la stima dei giornaloni, tutto il resto è patrimonio di quella che da tempo nessuno si azzarda più a definire “la badante di Silvio”.
Come molte badanti, è diventata padrona.