Certo, in un momento come questo, viene proprio il desiderio di dire “bisogna cambiare strada” e non solo per un eufemismo, ma perché non si può più andare avanti così. Ma così come?
Il come è una sorta di paradigma criminale, dove le componenti del sistema Stato sono letteralmente sconfinate in un ambito talmente degradato e corrotto, che sembra impossibile recuperare forme di vita nelle quali l’essere umano si muova secondo ragione, con il piacere di realizzare delle opere e con una sorta di affettività nel lavoro che svolge.
Appare paradossale parlare di affettività nel lavoro, ma se lo stile di vita assume, invece, solo il parametro dell’incremento della ricchezza personale, a tutti i livelli, non possiamo che assistere impotenti ai gravi disastri ambientali che stanno accadendo sul territorio nazionale.
Ogni volta che si scava nelle motivazioni per cui alcuni ponti della nostra rete stradale cadono rovinosamente al suolo, versanti di montagne o di colline che scivolano a valle travolgendo uomini e case, fiumi che esondano e devastano i terreni che attraversano o il mare che entra e rovina lo splendore delle basiliche o i musei di Venezia, ci si accorge che, al di là della fin troppo facile attribuzione di colpe o di responsabilità, che la magistratura accerterà nei prossimi secoli, quello che è venuto meno, soprattutto nelle attività pubbliche del nostro Paese è un legame affettivo in quello che stiamo facendo o realizzando.
Insomma, siamo venuti meno al desiderio di esprimerci, di crescere nel lavoro, di amare le opere che stiamo compiendo, lasciando spazio ad una esasperata ricerca della ricchezza, magari faticando anche moltissimo, ma solo per la ricchezza.
Per cambiare strada e per non finire in una voragine, occorre rivedere i capisaldi del nostro paradigma, dove la ragione, la ricerca scientifica, la competenza, l’esperienza, l’onestà insieme ad un amor sui possano trovare consistenza, guadagno per la qualità della vita, orgoglio di essere utili ad un Paese straordinario.
Concludo con questa simpatica nota di Jonathan Safran Foer: “Sappiamo che dobbiamo fare qualcosa, ma l’espressione ‘dobbiamo fare qualcosa’ è una dichiarazione di incapacità o quantomeno di incertezza. Se non identifichiamo quello che dobbiamo fare, non possiamo decidere di farlo” (in Possiamo salvare il mondo prima di cena)