La Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha ottenuto ieri il via libera del Parlamento europeo con 461 voti favorevoli e 157 contrari (89 gli astenuti), superando anche i consensi raccolti cinque anni fa da Jean-Claude Juncker (423 voti a favore e 209 contrari). La presidente, nel suo discorso nell’aula di Strasburgo, ha evidenziato come la questione climatica sia fondamentale per l’Europa, citando anche gli allagamenti di Venezia e gli incendi in Portogallo. Alla vigilia del voto dell’Europarlamento è emersa anche la notizia di un “non-paper” congiunto di Francia e Germania con la proposta di alcune linee guida sulla Conferenza sul futuro dell’Europa, iniziativa promossa dalla stessa von der Leyen, per affrontare le questioni più rilevanti per l’Ue, a partire dal funzionamento delle sue istituzioni. Ne abbiamo parlato con Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Professore, cosa pensa di questo ampio consenso raccolto dalla nuova Commissione in seno al Parlamento europeo?
Nonostante ritenga, come già ho evidenziato in passato, sia stato un errore escludere i Verdi dalla maggioranza, mi rallegro come europeo, perché l’Europa ha bisogno di avere una direzione e non lasciare il pallino delle decisioni globali a Cina, Usa o Russia. Questo però non basta, perché sappiamo bene i disastri che hanno creato in termini di maggiori rischi di implosione le precedenti Commissioni, come quelle di Juncker e Barroso, che hanno disdegnato completamente le politiche fiscali come strumento di aiuto alle persone e agli Stati in difficoltà. In Paesi come il nostro c’è una crescita del sentimento anti-europeo, anche se è ancora minoranza. La Brexit insegna però che ci vuole pochissimo perché la minoranza diventi maggioranza, facendo poi crollare il sogno europeo.
Vede qualche segno di discontinuità tra questa Commissione e le precedenti che ha citato?
Non vedo personalmente nessun cambiamento, basti guardare alla pantomima cui abbiamo assistito sulla Nadef e sulla Legge di bilancio dell’Italia. Nonostante uno scenario economico difficile, al limite della recessione, non abbiamo avuto alcuna reale solidarietà. Credo che le politiche fiscali continuino a rimanere recessive. Spero che la nuova Commissione capisca che è arrivato il tempo di smetterla con le chiacchiere e di consentire politiche fiscali espansive dei singoli paesi, in cambio di riforme anche potenzialmente intelligenti, come quella di una seria spending review.
La von der Leyen ha però citato Venezia…
Credo che la presidente abbia capito solo che c’è stata una piccola mareggiata, che ha messo in crisi un Paese che non ha avuto l’opportunità di manutenersi. L’Europa non deve rispondere all’emergenza di un periodo di maltempo, ma a un declino strutturale di un Paese che ha smesso di avere la possibilità di ricostruire i suoi ponti per un ordine superiore europeo. L’Italia dovrebbe essere al centro costante dell’agenda di riforma europea, perché la forza di un’unione si misura dalla situazione del suo anello debole. Non ci serve una flessibilità che arriva per le situazioni di emergenza, occorre comprendere che la produttività di lungo periodo e la domanda di breve periodo nel nostro Paese si sostengono con gli investimenti infrastrutturali. Occorre introdurre la golden rule e subito.
Si dice però che i fondi che vengono stanziati per gli investimenti non vengono spesi: non siamo capaci di usarli?
In parte può essere vero, ma il vero problema è che le risorse non si possono spendere per non far aumentare il deficit oltre la soglia concordata con Bruxelles. Per questo occorre la golden rule, accompagnata da una spending review seria. Se noi siamo così codardi per farlo, che sia l’Europa a chiederci una spending review seria in cambio della golden rule.
Cosa pensa invece dell’iniziativa di Francia e Germania sulla Conferenza sul futuro dell’Europa?
Mi sembra rappresenti un approccio disastroso al tema: perché mai Francia e Germania, che sono in questo momento quelli che soffrono meno, dovrebbero indicare le linee guida? Sarebbe meglio che fossero Italia, Grecia, Spagna e Portogallo a decidere che tipo di riforme occorre fare in Europa visto che sono loro a soffrire. Quello di Parigi e Berlino mi sembra un approccio terribilmente paternalista, come dei padroni degli schiavi che si ritrovassero a decidere del loro benessere senza nemmeno ascoltarli. Temo che questa iniziativa porterà nocumento, perché aumenterà la percezione che l’Europa non è una cosa nostra, ma è una cosa loro.
In ogni caso i lavori della Conferenza non dureranno poco. Dovrebbero protrarsi almeno fino al 2022…
Anche questo è un problema, perché noi abbiamo bisogno entro il 31 dicembre di quest’anno di sapere che nella nostra finanziaria possiamo fare investimenti pubblici pari al 3% di Pil. Bisogna sapere ora che ci sarà non dico solidarietà – perché continueremmo a finanziarci sui mercati, con la fiducia che essi daranno alla nostra politica -, ma solo la possibilità di avere autonomia decisionale. Chiarendo che non vogliamo nessun bail-out e non vogliamo la solidarietà europea, anche perché questa si ha tra fratelli, mentre noi al massimo siamo cugini di terzo grado. Mi lasci aggiungere una considerazione.
Prego.
Dopo aver parlato del chi e del quando, veniamo al come: di quali regole parleranno in questa Conferenza? Hanno capito che c’è bisogno di una golden rule o pensano di cavarsela con la solita maggior flessibilità che nulla ha dato all’Italia in questi ultimi tre anni? Non è una questione di prendere e basta, è chiaro che occorre anche dare qualcosa, che siamo davanti a un do ut des. Il punto è che si dà quando si riceve. Ma dato che non si è ricevuto nulla dall’Europa, non si deve dare nulla all’Europa: si darà la spending review che l’Ue vuole quando ci sarà data la golden rule che noi vogliamo.
(Lorenzo Torrisi)