Si avvicinano i giorni del trilaterale tra le Confindustrie di Italia Francia e Germania – il 4 e 5 dicembre a Roma – e l’appuntamento acquista particolare interesse per la decisione dei governi di Parigi e Berlino di lanciare una Conferenza intergovernativa con l’obiettivo di riformare l’Europa e rendere l’Unione maggiormente effettiva anche al costo di modificare qualche trattato.
Una decisione giusta, che risponde al sentimento generale che giudica la costruzione dei padri fondatori largamente compromessa dall’interpretazione dei posteri che hanno tolto linfa e visione politica alla confederazione per consegnarsi a una gestione burocratica che è alla base di tante insoddisfazioni e altrettanti risentimenti. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire.
I lavori della Conferenza dovrebbero durare due anni a partire dal prossimo mese di febbraio e per quanto se ne sa l’Italia non fa parte del nucleo promotore, tanto che Francesco Giavazzi in un fondo sul Corriere ha invitato il nostro Governo a non restare a guardare sugli spalti una partita che dovrebbe invece giocare sul campo. Gli assenti, ricorda un vecchio adagio, hanno sempre torto.
La nuova Commissione europea si è appena insediata (la presidente Ursula von der Leyen ha preso più voti del previsto) e l’ex premier Paolo Gentiloni ne è autorevole componente con la delega all’Economia. Non c’è ragione per non chiedere e ottenere di essere chiamati a sedere intorno al tavolo della discussione al posto che spetta agli azionisti della prima ora.
Il trilaterale può essere una buona leva per rinforzare questa legittima aspettativa. Le organizzazioni imprenditoriali guidate da Vincenzo Boccia, Geoffroy Roux de Bézieux (Medef) e Dieter Kempf (Bdi) si vedranno per la prima volta in questo assetto superando il classico schema degli incontri bilaterali – che comunque continueranno a esistere – proprio per capirsi meglio.
Al centro del dibattito la definizione degli obiettivi comuni nella consapevolezza, più volte ribadita dal Presidente della Confindustria italiana, che la sfida non dovrà essere tra Paesi d’Europa, ma tra l’Europa nella sua interezza e il mondo esterno se davvero si vogliono adottare le misure utili a contrastare la concorrenza di giganti come gli Stati Uniti e la Cina.
Lo strumento per rivitalizzare il corpaccione dell’Unione – forse cresciuto più del dovuto al tempo dell’ottimismo – non può che essere una politica industriale comune che affronti i nodi della crescita nel rispetto dell’ambiente, della riduzione delle ineguaglianze, della lotta alla povertà puntando sulla ripresa dell’occupazione e il rispristino dell’ascensore sociale.
Se i punti di arrivo sono definiti, occorre certo disegnare la strada per raggiungerli. E a questo servirà, almeno nelle intenzioni, il vertice romano dei prossimi giorni preparato con cura meticolosa dalle rispettive delegazioni proprio per l’importanza che tutti gli attori attribuiscono all’evento. È chiara e condivisa l’idea che occorra uno scatto di reni collettivo.
Dunque, la consapevolezza e la tempestività delle tre confederazioni d’impresa che si riuniscono nella Capitale possono servire da traino ai rispettivi governi per la centralità dei contenuti che saranno discussi e per il metodo utilizzato che passa per il confronto tra le prime tre manifatture d’Europa e cioè del motore della complessa macchina a cui è devoluta la costruzione della ricchezza.