Nella liturgia della “società signorile di massa” così lucidamente analizzata da Luca Ricolfi nel suo ultimo libro, il “black Friday” rappresenta il momento topico. Un rito che è emblematico anche nel suo meccanismo: aprendo il computer si apre un vaso di Pandora di tentazioni che si sovrappongono alla perfezione ai tanti nostri desideri indotti. Con un semplice click si mette poi in movimento una macchina in cui tanti ingranaggi che restano “oscuri” al nostro sguardo (Ricolfi la definisce “struttura paraschiavistica”), permettono di fare atterrare il desiderio, portandolo sin sulla porta di casa. Nella tradizione americana il “black Friday” seguiva almeno il giorno del Ringraziamento, in cui tradizionalmente si esprimeva gratitudine per un altro anno di buoni raccolti; era il modo con cui si dava il “la” alla grande sarabanda dei consumi natalizi. Oggi quella sequenza si è modificata, al “black Friday” segue il “cyber Monday” della corsa agli acquisti di elettronica a cui segue un “giving Tuesday” in cui ci si fa un po’ di cosmesi morale effettuando qualche donazione.
In Italia in realtà la comunicazione è tutta stressata sul “black Friday” che viene semmai allargato ai giorni che lo precedono. È il momento dilatato dell’inebriamento consumistico in cui davvero si sperimenta quella condizione “signorile”, che non riguarda più come nel passato i pochi, ma coinvolge la maggioranza della popolazione diffusa: un senso di opulenza diffusa, tanto più paradossale quanto più il contesto parla di un lungo e drammatico stallo della crescita, di una società che ha smesso di essere al lavoro.
Come accadeva ai signori delle società di un tempo, è solo la rendita che garantisce la ricchezza che ci permette di continuare ad essere consumatori bulimici. All’economia della rendita non resta che affidarsi al caso, come dimostrano i 107 miliardi spesi dagli italiani nell’azzardo; oppure non resta che affogarsi nell’incoscienza, come testimonia il numero impressionante di 8 milioni di consumatori di sostanze illegali.
L’aspetto più drammatico di questo meccanismo produttore di piaceri a basso costo è la riduzione ai minimi termini della consapevolezza collettiva. L’inebriamento da “black Friday” produce l’accettazione di una situazione in cui ad esempio le grandi piattaforme diventano sempre più egemoni e si sentono sempre meno vincolate a delle regole. Nel 2018 i 15 maggiori giganti del web presi in considerazione hanno pagato al fisco italiano con le loro filiali la somma complessiva di 64 milioni (dati Mediobanca). Amazon, la società imperatrice del “black Friday” con oltre due milioni di prodotti venduti in un giorno, ha pagato 6 milioni di euro. L’unica voce che ha ancora il coraggio di levarsi contro l’accettazione supina di un simile assetto economico, sociale e culturale è quella di papa Francesco. Lo ha fatto anche recentemente in occasione di un intervento, tutto da leggere, fatto all’Assemblea dell’Associazione internazionale di diritto penale nei giorni scorsi. “La persona fragile, vulnerabile, si trova indifesa davanti agli interessi del mercato divinizzato, diventati regola assoluta”, ha detto. “Oggi, alcuni settori economici esercitano più potere che gli stessi Stati. Il diritto penale non può rimanere estraneo a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una posizione dominante a scapito del benessere collettivo”. Nella società ovattata e omologata di oggi le parole del Papa sembrano stonate e quasi brutali. Invece sono semplicemente parole dettate da un sano e drammatico realismo.