La prima intervista di Ursula von der Leyen dopo la sua elezione, rilasciata a Beda Romano del Sole 24 Ore, getta acqua sul fuoco di chi sperava che fosse possibile bypasssare le ferree regole del patto di stabilità, magari per nobili ragioni. Gli investimenti per migliorare l’ambiente e favorire la riconversione ambientale non potranno essere scorporati dal conteggio del disavanzo pubblico. Questa scelta è frutto di un sospetto: “Temo che vi sarebbero troppe tentazioni per fare del green washing (dell’ambientalismo di facciata)”. Insomma, ci sarebbero paesi pronti a spendere verniciando di verde le somme uscite dai bilanci ordinari. Il Green New Deal lanciato dalla stessa presidente della Commissione europea dovrà essere finanziato senza aumentare i deficit. Non spiega come, viste anche le ristrettezze del bilancio comunitario sul quale si apre adesso un braccio di ferro, anzi un mercato al ribasso. Vedremo. Ma quel che preme sottolineare è proprio questa ombra del sospetto, la stessa che oscura la riforma del Meccanismo europeo di stabilità, il quale rischia di provocare in Italia una nuova crisi di governo.
Domani il presidente del Consiglio si presenterà alla Camera, ma è difficile che possa fugare un altro sospetto, questo tutto italiano e tutto politico, cioè di aver dato il via libera alla riforma per così dire alla chetichella. Ha ragione Giuseppe Conte a chiedere dove erano Matteo Salvini e Luigi Di Maio quando al consiglio dei ministri Giovanni Tria, titolare del ministero dell’Economia, illustrava lo stato dell’arte. Tuttavia questa spiegazione non è sufficiente. Ed è troppo debole anche giustificare il sì alla riforma con il fatto che tanto l’Italia non avrà mai bisogno di ricorrere al fondo salva-Stati perché il suo debito era, è, e sarà sostenibile. Non solo nessuno può predire il futuro, ma questa complessa partita si gioca all’insegna dei sospetti, esterni ed interni. Ci sarebbe un solo modo per fugarli: mettere al centro una chiara, netta, consistente politica per ridurre, anzi tagliare, il debito pubblico italiano che continua a crescere.
La riforma del Mes si è resa necessaria per due motivi: offrire il sostegno alle banche sull’orlo del tracollo, e finanziare in modo diretto gli Stati a rischio default. I due obiettivi sono collegati perché la condizione per poter accedere a fondi pubblici e a prestiti privati garantiti dal Mes, è che le banche non siano gonfie di titoli di stato a rischio (che anche i titoli di stato siano rischiosi è la novità introdotta dopo il collasso della Grecia) e i governi siano in grado di rimborsare i prestiti, pronti anche a tagliare il debito facendo pagare, sia pure in modo diverso, chi lo ha sottoscritto. Non c’è nessun automatismo, in questo ha ragione Conte e torto l’opposizione, tuttavia a decidere non sarà più solo la Commissione, ma gli organismi “tecnici” del Mes assumendo il punto di vista dei creditori. È questo il punto più controverso, quello che può mettere nei guai l’Italia se e quando si presentasse un rischio Grecia.
Si dice anche che questo meccanismo in fondo aiuta la stessa Italia che mette a disposizione 14,3 miliardi direttamente e garantisce fino a 125 miliardi. Ma questa spiegazione non fa i conti con il grande sospetto che il debito italiano possa non diventare sostenibile. Un sospetto che, ammettiamolo, accomuna gli stessi italiani. Perché mai altrimenti tanto allarme? A parte le motivazioni politiche e ideologiche, l’euroscetticismo, il neo-sovranismo, la voglia di rivalsa da parte della Lega, c’è il timore che la resa dei conti arrivi prima di quanto si possa pensare. Basta una tempesta finanziaria per far crescere i tassi d’interesse. E senza crescita (andremo avanti con lo zero virgola se le cose non cambiano drasticamente) la percezione del rischio sui mercati è destinata a salire in modo esponenziale.
Potrà aiutarci la Bce? Le prime mosse di Christine Lagarde dicono che la politica monetaria non cambierà a breve termine: dunque per ora la zecca europea continuerà a stampare moneta e gli interessi resteranno piatti. Tuttavia non va sottovalutato l’impatto della politica dei tassi zero se non negativi sui bilanci delle banche, a cominciare da quelle italiane. In Germania già da tempo si levano alti lai in difesa dei risparmiatori. Anche lì la destra lamenta che il risparmio dei tedeschi viene risucchiato dagli altri paesi europei a cominciare, guarda caso, dall’Italia. Mentre in Italia la destra grida che sono i tedeschi a voler rubare il risparmio degli italiani.
Risparmiatori contro risparmiatori, sovranisti tedeschi contro sovranisti italiani, in realtà si tratta di interessi a conflitto, interessi autentici e un conflitto vero. Senza una mediazione, questi interessi e questi conflitti saranno destinati a far esplodere l’Unione europea. Il Mes nasce proprio per mediare, offrendo aiuto a chi ne ha bisogno e garanzie a chi sborsa i propri denari. Nel discutere il che fare, bisogna sempre tener conto di questo principio comune. Rifiutarlo (ciò riguarda l’Italia come la Germania, l’Olanda e chiunque altro) significa scegliere il conflitto aperto.
Non sappiamo se e come Giuseppe Conte potrà risolvere il dilemma di fondo: se non rinvia salta il governo, se rinvia allarma i mercati, fa salire lo spread che peggiora il debito e come si è visto lo scorso autunno colpisce i risparmi e impiomba le banche. Una responsabilità davvero pesante. Tuttavia una cosa è chiara: il debito pubblico resta il problema numero uno, non sarà la Commissione europea, né la Bce a risolverlo, dovremo prendere in mano il nostro destino e intaccare in modo consistente quel macigno che ci schiaccia. Senza cercare scappatoie, altra flessibilità e nuovi sotterfugi. Conte dovrebbe dirlo chiaro e tondo, con il coraggio della sincerità mettendo tutti (compreso se stesso) di fronte alla proprie responsabilità.