Quando ogni anno arriva il momento di organizzare la Giornata nazionale della Colletta Alimentare mi viene d’impeto chiedere ai responsabili di zona che alcuni ragazzi con cui passo tanto tempo, a scuola o in parrocchia, possano farla insieme, prendendo in gestione un intero supermercato e coprendone tutti i turni. Il motivo della richiesta è triplice: la Colletta è anzitutto una festa, un momento in cui uno si scopre contento di “fare insieme”, di costruire qualcosa di utile per tutti.
Alla Colletta trovi grandi e bambini, trovi signore attempate e gente che si aggiunge quasi per caso all’ultimo momento per poi non andarsene più, trovi un popolo in festa, contento di fare qualcosa di grande con gli altri: non un raduno di piazza rabbioso o distopico, come quelli che sembrano andare di moda in questi tempi, bensì qualcuno che è già all’opera per costruire una risposta vera ai bisogni del nostro tempo.
Ma la Colletta è anche un gesto propriamente educativo: infatti non nasce dal progetto che hai in testa tu sui ragazzi, né può essere in alcun modo un riverbero sentimentale dell’amicizia con loro. La Colletta l’ha pensata qualcun altro con tempi e ritmi cui si è chiamati a obbedire, non è l’esito di un progetto educativo o di un percorso parrocchiale, ma una pura gratuità di cuore nel compiere un gesto che da soli nessuno istintivamente compierebbe.
Oggi l’educazione è lasciata spesso in balia ad astrusi ragionamenti tecnici o a slanci generosi e istintivi: un gesto come quello della Colletta rimette chi educa nella posizione di chi deve stare a modalità che non sono sue, di chi – per generare – si accorge di dover anzitutto seguire.
Infine la Colletta non è equivoca, non fa sorgere nei ragazzi – che tutto desiderano tranne essere “pescati” – il sospetto di un gesto con un secondo fine: non si presta al gioco “vieni a fare questa cosa così poi ti introduco al cristianesimo”, ma è un’esperienza che supera ogni nostro impacciato dualismo in quanto il gesto stesso è una proposta.
La Colletta non è qualcosa su cui occorra poi ricamare sopra giudizi o ragionamenti, bensì si tratta di un potente richiamo al fatto che non esista comunità umana che possa ignorare le esigenze materiali dell’altro e – ancor di più – l’anelito che ciascuno ha nel cuore ad essere parte della vita di chi ci è accanto, condividendone il senso. È una proposta che è fatta al volontario come al cliente del supermercato.
Valentina quest’anno la faceva per la prima volta dopo anni in cui l’aveva snobbata, accusandola di essere un’iniziativa di parte, con chissà quali loschi affari alle spalle. Poi a casa sua è mancato il papà, la mamma non riusciva a tirare avanti fino alla fine del mese e l’assistente sociale l’ha messa in contatto col Banco Alimentare. Hanno cominciato a portarle il pacco ogni quindici giorni e, grazie a quel piccolo intervento, non ha più dovuto preoccuparsi di cosa lei e la mamma avrebbero mangiato. Valentina quest’anno alle otto era già davanti alla porta del supermercato e non ha mollato il turno nemmeno un istante, fino alle sette e mezza di sera. “Attraverso il pacco sento di nuovo l’abbraccio di mio papà. E vorrei solo poter essere io così grande da abbracciare qualcuno così. Per questo faccio la Colletta, per questo ho detto sì”.
Valentina era dentro al nulla, persa nel suo dolore. Ma il pacco le ha ridato una speranza, l’ha fatta sentire di nuovo figlia. È per questo che quest’anno si è giocata con tutte le sue compagne e ha portato tanti alla Colletta. Perché il vuoto non si vince con un sermone, ma con uno che ricomincia ad esserti fratello. Uno al quale cominci a dire, semplicemente, “sì”.