Raccontare il 2019 del calcio in circa 4000 battute è esercizio assai complesso: ognuna delle singole cose accadute rappresenta una sfida in se stessa, eppure ci si prova. Da cosa partire? La naturale cronologia, personale opinione di chi scrive, risulterebbe “scolastica” e magari ridondante; in un anno che non ha assegnato Mondiale o Europeo, è giusto che i titoli principali e le prime pagine le prenda il Liverpool che, sfiorata una Premier League che non vince da 29 anni (ma, a proposito: nella seconda parte del 2019 ha posto le basi per spezzare il sortilegio) si è preso la grande soddisfazione di vincere la Champions League, a 14 anni dall’ultima e 12 mesi dalla finale persa contro il Real Madrid. Stavolta i Blancos non c’erano, spazzati via dall’Ajax dei giovani fenomeni: due di loro, Matthijs De Ligt e Frenkie De Jong, sono emigrati verso altri lidi mentre non ci è riuscito Donny Van de Beek (è questione di tempo), resta che i Lancieri hanno incantato tutta Europa, sono arrivati a mezzo secondo dalla finale e si sono nuovamente posti come grande modello da seguire.
Il trionfo del Liverpool non è bastato per il Pallone d’Oro, e qui arriviamo all’altra grande storia: Leo Messi ha salutato la concorrenza (ovvero Cristiano Ronaldo) e ha infilato il sesto trofeo in bacheca. Mai nessuno come lui: lasciamo stare per una volta le polemiche (meritava? Avrebbe dovuto vincere qualcun altro?) per celebrare un giocatore che, con la rete al Borussia Dortmund nel girone di Champions League, ha punito la squadra numero 34 in questa competizione. La Pulce scrive la storia, altri ne sono temporaneamente usciti: ha fatto scalpore l’esonero di Mauricio Pochettino dal Tottenham, a pochi mesi dalla finale europea. Se non altro (se così si può dire), questo è servito per riportare a Londra José Mourinho, che era fermo dall’addio al Manchester United e al quale è stato subito ricordato che, ai tempi del Chelsea, aveva tuonato che mai avrebbe allenato gli Spurs. “Era prima di venire licenziato” ha ribadito lui.
Del resto lo abbiamo visto in Italia: chi avrebbe immaginato Antonio Conte sulla panchina dell’Inter? O Maurizio Sarri su quella della Juventus? Il 2019 nel nostro Paese ci ha consegnato una Nazionale di nuovo bella e vincente – record di vittorie per Roberto Mancini, tanti giovani lanciati nelle qualificazioni e obiettivo conquistato di slancio – ma anche un incredibile valzer di allenatori che ha fatto finire l’ex capitano e leader bianconero nella squadra più “odiata”, e il comandante andato a un centimetro dal detronizzare i campioni nella loro sede. Non solo: se parliamo di bandiere ammainate, il 2019 è stato anche l’anno del terremoto in casa Roma, ovvero l’uscita di scena a poche settimane di distanza di Daniele De Rossi e Francesco Totti. Situazioni diverse, un filo sottile a unire le due partenze epocali, un paio di conferenze stampa con frecciate più o meno velate, un enorme capitolo chiuso a Trigoria.
Scherzi del calcio moderno, in cui le bandiere sembrano davvero tutte ammainate: l’anno che sta per finire ha salutato due grandi giocatori come David Villa e Ezequiel Lavezzi, che erano andati in Asia ma non si erano mai allontanati dal cuore degli appassionati. E mentre la Juventus ha festeggiato l’ottavo scudetto consecutivo, al contempo ha anche dato l’addio a Massimiliano Allegri: il toscano è ufficialmente nella triade degli allenatori più vincenti di sempre nella storia bianconera, ma intanto è rimasto senza panchina. A proposito: i principali campionati europei hanno mantenuto lo status quo, facendo registrare la settima Bundesliga in serie per il Bayern Monaco, il dominio sempre più largo del Psg in Francia e i bis di Barcellona e Manchester City.
Le sorprese non sono comunque mancate: dall’Eintracht semifinalista di Europa League alla nostra Atalanta – e dovremmo citare anche il Cagliari – capace di qualificarsi per la prima volta di sempre ai gironi di Champions League, dalla storica promozione dell’Union Berlino (che meriterebbe un capitolo a parte, basti pensare che per sopperire alla crisi finanziaria i tifosi organizzarono una raccolta fondi donando letteralmente il sangue, per poi improvvisarsi operai e aiutare a rinnovare lo stadio) al meraviglioso Flamengo, vincitore della Libertadores (a 38 anni dalla prima, e con tanto di bis in campionato) dopo che il Brasile aveva riconquistato la Copa America. L’eroe? Gabriel Barbosa, al secolo Gabigol: uno che in Italia ed Europa è arrivato con clamore per andarsene in silenzio. Sì, anche il 2019 ci ha detto forte e chiaro che le seconde occasioni arrivano: basta saperle sfruttare.