Che cosa è la democrazia e il diritto di una persona? In teoria e in pratica si tratta della possibilità di fare liberamente le proprie scelte. Ma come diceva qualcuno saggiamente, “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. Anni e anni di battaglie per i cosiddetti diritti civili, la libertà del singolo, secondo il motto “la vita è mia e ne faccio ciò che voglio” hanno stravolto questo semplice concetto. Che cioè chi vive in una società, in una comunità, come succede a tutti noi, deve pensare che esiste anche il prossimo. Altrimenti ognuno si chiude nella propria isola e tiene fuori tutti gli altri. E’ quello che sta succedendo. Ad esempio nel caso dei cosiddetti migranti: “aiutiamoli a casa loro”, cioè se ne stiano lontani da casa nostra. Nel caso dell’aborto il discorso si fa molto più sottile e impegnativo. Da una legge che nasce per garantire a una donna, in casi estremi e disperati, la possibilità di abortire, si è da tempo arrivati al concetto che vale sempre di più la vita di chi è già esistente che quella del nascituro. Un essere cioè che “ancora non esiste”. Inutili per gli abortisti le scoperte scientifiche che dicono che il feto è un essere vivente praticamente da subito, per loro rimane sempre “un grumo di cellule” come sosteneva Marco Pannella. In America, dove lo scontro è molto duro da entrambe le parti, negli ultimi mesi diversi stati hanno promulgato leggi che riducono le possibilità di abortire, ad esempio quando si accerta che il cuore del feto ha cominciato a battere, cioè molto presto.
“LA MIA VITA CONTA PIU’ DI UN FETO”
Le femministe sono scese in piazza, furiose, guidate da attrici di Hollywood e donne in carriera: “Le persone senzienti (cioè dotate di capacità di sensazione, di percepire fisicamente, ndr) dovrebbero avere più diritti sui propri corpi rispetto a quelli * potenziali * ma inesistenti” si legge in uno dei tanti commenti a sostegno delle dichiarazioni dell’attrice inglese Jameela Jamil. Spiegare loro che il feto è in grado di percepire rumori, suoni, la voce della madre, anche la musica, è ovviamente inutili. Dichiarazioni a dir poco esagitate quelle che l’attrice ha postato su twitter: “Alla gente che perseguita me e Gloria Steinem (attivista femminista americana storica) perché diciamo che non c’è democrazia senza il diritto delle donne di decidere… Ho detto quello che ho detto e vi sbagliate se pensate che lo ritiri. La mia vita è più importante per me di quella di un feto non ancora nato” e via un paio di parolacce. Ecco, come dicevamo. La propria vita conta più di quella di qualunque altro, il feto non è nulla, un gruppo di cellule. Ma da qui si può dire di chiunque: la mia vita è più importante di un migrante messicano (o africano) che muore nel deserto (o nel mare). Il passo è breve. Jamela Jamil, figlia di padre indiano e madre pachistana, è molto nota in Inghilterra, paese dove è nata. Lo scorso maggio dichiarò con nessun pentimento di aver abortito quando era giovane: “È stata la migliore decisione che abbia mai preso. Sia per me, sia per il bambino che non volevo, e non ero pronta a far nascere, emotivamente, psicologicamente e finanziariamente”. Probabilmente per lei è stata la miglior decisione, le ha permesso di far carriera e avere successo. Ma per il bambino? E’ tanto grave farlo nascere e darlo in adozione? Ovviamente, perché qualunque donna che porta in grembo un figlio per nove mesi finisce per sentire emergere la sua maternità innata. Meglio liberarsene subito, tanto è solo un grumo di cellule no?