L’unica novità è che finalmente le carte sono scoperte. Per il resto, nulla di nuovo perché era tutto ampiamente previsto.Com’è noto, martedì pomeriggio Arcelor Mittal e sindacati si sono incontrati presso il Mise e l’azienda ha fatto sapere quali sono le condizioni per la sua permanenza in Italia: nel nuovo piano industriale sarebbero previsti 4.700 esuberi, di cui 2.891 già nel 2020, con l’organico dell’ex Ilva che passerebbe dai 10.789 occupati del 2019 ai 6.098 del 2023. A fronte di ciò potrebbe aumentare la produzione da 4.500 tonnellate di acciaio a 6.000, sostituendo il forno Afo2 nel 2023 con uno elettrico, a minore impatto ambientale ma anche occupazionale.
L’esercizio 2019 costerà all’azienda circa un miliardo di euro: così ha detto l’ad Lucia Morselli, anche se più realisticamente si era precedentemente parlato di 700 milioni di euro. Da qui la necessità di chiudere Afo2 – anche per via dei suoi problemi con la magistratura – rimpiazzandolo con un forno elettrico che però comporta la fine di un’acciaieria, di un treno nastri, dei tubifici e delle cookerie.
I sindacati hanno giudicato “irricevibile” il piano e annunciato uno sciopero per martedì prossimo 10 dicembre. Il Ministro Patuanelli si è detto sorpreso. Ci ha pensato Conte a farci capire come stanno le cose: “Lavoreremo per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati col signor Mittal e che il signor Mittal si è impegnato personalmente con me a raggiungere. E ci riusciremo”. Le parole di Conte sono la prova che l’azienda ha solo scoperto le carte e che lui e il Governo sanno bene quali sono le condizioni che devono soddisfare per trattenere ArcelorMittal in Italia.
Cosa succede ora? Bisogna tenere presente tre cose: in primis, tra una settimana massimo la procura di Taranto si pronuncerà su Afo2 circa il suo possibile spegnimento. Questa è una variabile importante. In secondo luogo, come affermato da Patuanelli, tra oggi e lunedì il governo presenterà un suo piano industriale che vuole far diventare Ilva un modello di impianto siderurgico, con uso di tecnologie sostenibili e forni elettrici per arrivare a una produzione di 8 milioni, in modo da tutelare i livelli occupazionali. Per andare in questa direzione, “lo Stato, il governo, è disponibile a investire, a partecipare e accompagnare l’azienda in questo percorso di transizione” ha ribadito Patuanelli. In ultima istanza, il 20 dicembre la procura di Milano dovrà pronunciarsi sul recesso dell’azienda. Confidiamo che governo, azienda e sindacati trovino un accordo prima. Potrebbe tuttavia essere chiesta altra proroga alla Procura.
A ogni modo, ciò che dice Patuanelli è ciò che avevamo anticipato circa due settimane fa. Nessuna sostanziale novità per il momento: Conte sta lavorando per far sì che la restart di Ilva sia l’avvio del suo green new deal. Ciò piace a lui, al sig. Mittal e piacerà anche ai sindacati. Perché il piano dell’esecutivo non solo riguarderà la transizione industriale, ma anche da un punto di vista occupazionale presenterà delle soluzioni. Ci potranno essere degli esodi volontari – anche perché incentivati -, ma non è questo un governo che si può permettere un licenziamento collettivo di queste proporzioni.
Tuttavia, senza la folle revoca dello scudo penale – che sarà reintrodotto – il conto per le casse dello Stato sarebbe stato decisamente inferiore. Anche questa è una variabile importante.
Twitter: @sabella_thinkin