Sembra quasi una leggenda, quella del Polittico Griffoni. Un romanzo di avventura, che fin dall’inizio è apparso pieno di colpi di scena, per poi arrivare, dopo tre secoli, a un lieto fine.
La storia di questa straordinaria opera d’arte inizia negli anni Settanta del 1400, quando Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti furono incaricati dalla famiglia Griffoni di realizzare una serie di dipinti da collocare nella cappella dedicata al domenicano san Vincenzo Ferreri (Ferrer), all’interno della Basilica di San Petronio di Bologna.
Dal 1473, la città poté dunque fregiarsi di possedere questo capolavoro, nella chiesa dedicata al suo Santo patrono, realizzata dal libero Comune come espressione dell’identità comunitaria locale.
Tra il 1725 e il 1731, il cardinale Pompeo Aldrovandi, divenuto nuovo proprietario della cappella, decise di smembrare il Polittico in singoli quadri, che furono venduti. Nel corso dei secoli, i pannelli confluirono in nove istituzioni museali sparse per il mondo.
Una vicenda dolorosa, in cui l’arte è stata la vittima di chissà quali motivi economici e personali. Una storia che sembrava finita e dimenticata, per un’opera che era ormai priva dell’unicità che la contraddistingueva.
Quand’ecco, inaspettato, il colpo di scena: nel 2020, dopo 300 anni dalla dispersione, il Polittico sarà ricostituito, e proprio nella città che lo vide nascere.
A Palazzo Fava, Palazzo delle Esposizioni di Bologna, il Polittico Griffoni potrà nuovamente essere ammirato per circa cento giorni, dal 12 marzo al 28 giugno, nell’ambito di una mostra concepita da “Genus Bononiae. Musei nella Città” e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.
I 16 pannelli superstiti rientreranno nel capoluogo bolognese grazie alla concessione delle nove istituzioni museali che fino ad oggi li hanno ospitati: la National Gallery di Londra, dove è custodito lo scomparto centrale raffigurante san Vincenzo Ferrer, il Legato a latere Christi. La National Gallery di Washington, sede delle immagini di san Floriano, di santa Lucia e della Crocifissione. La Pinacoteca di Brera (Milano), che ospita san Pietro e san Giovanni Battista. Il Museo di Villa Cagnola di Gazzada (Varese), dove si trovano i due quadri raffiguranti l’Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata, in cui emergono con particolare forza, nella rappresentazione del momento in cui la grazia e la promessa di Dio hanno fatto il loro ingresso nel mondo, il candore del volto di Maria che si riflette speculare nel bianco del fiore recato dal messo divino.
La predella proviene dalla Pinacoteca Vaticana, e narra, in un’unica soluzione spazio-temporale, le principali vicende della vita di san Vincenzo.
Altri luoghi, altre vicende ancora legano quest’opera e la sua disgregazione a musei e istituzioni che, nel corso degli ultimi secoli, hanno avuto l’onore e l’onere di esserne i custodi fedeli: il Louvre per san Michele Arcangelo, capo delle milizie celesti, e per la vergine e martire sant’Apollonia; il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam per sant’Antonio; la Pinacoteca Nazionale di Ferrara per san Petronio, patrono di quella Bologna che sta per riaccogliere, seppur temporaneamente, questa meravigliosa opera. La Fondazione Giorgio Cini di Venezia per san Girolamo, san Giorgio vincitore del drago e santa Caterina d’Alessandria, martire della ruota dentata.
Quella del ritorno del Polittico Griffoni a Bologna è un’occasione straordinaria, oltre che una scommessa vinta; è il riallacciarsi delle estremità di un filo che si era interrotto in un momento storico in cui l’interesse personale ed economico potevano avere la meglio sulla necessità ineludibile di tutelare un bene artistico di così grande valore; un’epoca in cui una città venne privata di un tesoro prezioso, senza che nessuna ribellione da parte dei Bolognesi almeno tentasse di prevenirne la dipartita.
Il Polittico Griffoni torna a Bologna. Non sarà per sempre. Il lieto fine non è definitivo. Ma in quel breve battito di ciglia – se paragonato al corso della storia umana – in cui le varie parti dell’opera, accostate silenziosamente l’una all’altra, torneranno a essere visibili, allora in quel momento all’arte, alla città, all’Italia e alla cultura (di cui oggi c’è bisogno come del pane) per una volta sarà stata resa giustizia.