Una confusione così grande in materia non se l’aspettava manco l’uomo che, nella stagione dell’attesa, aveva visto più chiaro di tutti, più lontano di tutti. Il Battista, dalla galera dove Erode l’ha sequestrato come una talpa, confessa di essere andato in crisi. Muta i discepoli in ambasciatori, con una raccomandata per il cugino: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”.
Il dubbio è colossale: l’Uomo si comporta strano, ha stravolto le aspettative, non è più così chiaro il suo margine d’azione. E Giovanni inizia a dubitare: la sua fede è sull’orlo del collasso, l’anima è agitata.
Capita sempre così: quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia tutte le domande. E il mondo intero va in tilt: non esiste fede senza dubbio, fedeltà senza rischio. Non esiste uomo che, almeno una volta, non abbia pensato d’aver sbagliato strada, sbagliato Dio: è proprio Lui, o mi sono sbagliato di brutto? D’altronde – scrive la Hurston – ci son anni che fanno domande e ci son anni che danno risposte. Quand’è chiuso nella gattabuia di una galera, poi, l’uomo avrà l’occasione di perlustrare a fondo le sue domande. Giovanni è in carcere: l’ambiente, dunque, gli è favorevole.
Cristo, da parte sua, non si scoraggia. Alla domanda non offre risposta: la sua passione è far nascere interrogativi al mondo, non zittire il mondo con delle risposte.
Eccolo, dunque: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete”. Nelle vene di Cristo scorre il sangue artigiano di Giuseppe, l’arte poetica della Madonna, è cresciuto alla scuola dei nonni: “Ricordati, Gesù – gli avranno detto da bambino – che non c’è più cieco di chi non vuol vedere. Non c’è più sordo di chi non vuole ascoltare”. Fosse professore, non accetterebbe mai di spiegare la poetica: la poesia va incontrata, è un faccia-a-faccia con il lettore, ha l’esigenza che nessuno si metta frammezzo. “Via tutti, lasciateci da soli noi due”. Avesse voluto spiegarla, il poeta avrebbe scritto in prosa. L’unica cosa concessa, finito l’incontro, è il permesso di un’interrogazione: “Cosa hai provato mentre vi siete incontrati? Cosa t’ha detto? Senti, adesso, che è cambiato qualcosa in te?”.
Non conosce l’arte d’indottrinare, Cristo: è assetato della sete di chi, un giorno, gli chiederà da bere. Non è uno che imbottiglia il vino, il sapere, la fede: preferisce destare fuochi e cuori, seminare domande, spargere dubbi per far dubitare delle false sicurezze. E misurare l’uomo, a fine giornata, dalle sue domande: sono le domande che l’uomo si pone a determinare il tipo di persona che diventerà.
Giovanni è un uomo che domanda perché conosce il rischio e il guadagno del domandare: quando alzi la mano e fai una domanda, sei sciocco per cinque minuti. Se non alzi la mano e non chiedi, rimarrai sciocco tutta la vita.
Giovanni, poi, non è affatto uno sciocco: “In verità io vi dico – è parola del Signore – fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni Battista”. Tanti, a quel tempo, avevano risposte bellissime: peccato che fossero risposte a domande che nessuno si poneva. Cristo, invece, più che domandarsi se una risposta sia esatta, si chiede se la domanda è corretta: l’ignoranza non è non sapere quali domande non porsi, ma confondere i falsi con i veri problemi. Per questo Cristo va matto di ammirazione per Giovanni: “È più che un profeta”, dice alla gente mandata da Lui per chiedergli spiegazioni. Poi, come companatico per il ritorno, sciacqua loro gli occhi: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (cfr Mt 11,2-11). Ch’è come dire: “Guardate cosa sta accadendo sotto i vostri occhi, poi tiratele voi stesso le conclusioni”. L’affidabilità è uno di quei pregi che rende un uomo, anche il più imperfetto, raro. È che per imparare a stare in equilibrio andando appresso a Cristo, pare sia necessario sporgersi sovente sull’abisso.
Accettando il rischio di rimanere, per un po’, a penzoloni sul vuoto.