La scelta di incardinare nel preside la qualifica di datore di lavoro ha dato luogo alla nascita di una figura “ibrida”, un dirigente responsabile penalmente e patrimonialmente il quale, oltre a non possedere specifiche competenze in campo ingegneristico, non ha né poteri di spesa né decisionali.
Tutti sappiamo che la scuola è inserita in un sistema formativo integrato in cui gli enti preposti hanno come obbligo quello di agire in sinergia con la comunità scolastica allo scopo di attuare il diritto all’istruzione di tutti gli alunni. Se si vuole realmente tutelare a scuola la sicurezza di bambini, ragazzi ed adulti, occorre chiarire ruoli e competenze degli attori del sistema formativo territoriale. Normativa e comune sentire individuano lo specifico della professione del preside nell’essere “leader educativo” e non “direttore dei lavori”.
Nell’articolo 16 del citato Dl 81, dedicato alla delega di funzioni datoriali in tema di sicurezza e che bene si potrebbe attagliare all’attuale ruolo rivestito dal dirigente scolastico, si evidenzia come conditio sine qua non per l’ammissibilità della delega l’attribuzione al delegato dell’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.
La norma evidenzia un concetto interessante circa l’autonomia di spesa da parte del soggetto che ha in capo la responsabilità. Esiste una vera autonomia della scuola quando i fondi da utilizzare sono vincolati e finalizzati? Esiste autonomia quando i fondi sono limitati e insufficienti? Esiste autonomia quando parte rilevante degli interventi da porre in essere incida su una proprietà altrui e sia soggetta a regole e vincoli che riguardano in via esclusiva o prevalente il proprietario? La scuola ha l’obbligo di erogare un pubblico servizio, ma se non si hanno i mezzi come si fa?
Preso atto della situazione attuale, è diventato quanto mai urgente aprire alcuni fronti di riflessione allo scopo di realizzare un miglioramento dell’attuale quadro normativo italiano.
La prima proposta di miglioramento del quadro normativo è dunque quella di rivedere i testi di legge a partire dal decreto 81: occorre distribuire in modo razionale la responsabilità in tema di sicurezza tra i vari attori del sistema formativo integrato, individuandoli specificamente, visto che paradossalmente in quasi 1.200 pagine di legge di cui consta il decreto 81 la cosa più importante risulterebbe al momento la meno chiara. Successivamente a ciò, i decreti attuativi del decreto 81 potrebbero essere proficuamente emanati e attuati.
Nelle more di poter affrontare il nodo della modifica legislativa del decreto 81 e delle norme a esso collegate, sarebbe opportuno che il problema della sicurezza nelle scuole venisse affrontato introducendo clausole di salvaguardia dei soggetti coinvolti – utenza, dirigenza, amministrazione e responsabili degli enti locali – socializzando le eventuali responsabilità derivanti da situazioni che non è stato possibile prevenire, ad esempio attraverso forme efficaci di coperture assicurative che consentano un serio ristoro dei danni patiti, evitando così l’accanimento nella ricerca di un capro espiatorio cui addossare ogni responsabilità pur in assenza di una colpa diretta.
La definizione puntuale di ruoli, competenze e risorse in tema di sicurezza scolastica rappresenta un’urgenza non più rinviabile, attestata anche dalla recente istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
La politica comincia a occuparsi del problema della sicurezza scolastica: è quanto emerso nel seminario “Quale futuro per la prevenzione degli infortuni nelle istituzioni scolastiche, rischio comportamentale e nuovi paradigmi educativi”, che si è svolto il 28 novembre scorso nella sala dell’istituto di Santa Maria in Aquiro del Senato. Un cambio di passo viene richiesto: è urgente tutelare la salute di alunni e lavoratori e pure porre rimedio alla condizione di declino culturale del paese, la quale emerge impietosamente in ogni statistica nazionale ed internazionale in cui l’Italia finisce per essere fanalino di coda, con buona pace dell’emergenza educativa e culturale dalla cui gestione i dirigenti scolastici vengono quotidianamente distolti.
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