I listini azionari si avviano a chiudere un anno spettacolare. Piazza Affari registra, per ora, la miglior performance dal 1998, con un rialzo che, se si realizzasse un allungo finale, potrebbe toccare il 30%. Un risultato record che si spiega con l’andamento generale delle piazze finanziarie giustificato dal basso costo del denaro e dall’abbondante liquidità immessa dalla Federal Reserve. L’incognita dei dazi, che ha frenato i listini per buona parte dell’anno, si è tradotta sul finale in una nuova iniezione di euforia dopo l’intesa tra Washington e Pechino che promette una forte accelerazione degli scambi commerciali per l’anno nuovo. Si giustifica così l’ottimismo che regna tra gli operatori, quegli stessi che, fino a pochi giorni fa, davano per probabile una recessione per il 2020, mentre ora fanno incetta di titoli per non perdere l’appuntamento con i nuovi record.
Ci sarà modo la prossima settimana di fare un bilancio critico di questi risultati che contrastano con le indicazioni, sempre deludenti, in arrivo dalla congiuntura di casa nostra, tra l’altro zavorrata da crisi antiche (Alitalia, Ilva) e nuove (Banca Popolare di Bari) e dalle consuete incertezze della finanza pubblica. Intanto, merita sottolineare alcuni segnali che potrebbero condizionare, se sottovalutati, la rotta della già fragile navicella italiana.
Innanzitutto, si sta diffondendo nelle banche centrali la convinzione che la politica dei tassi bassi si stia avviando al capolinea. La tendenza non tocca per ora la Fed sotto il pressing di Donald Trump. Ma, complice il miglioramento delle aspettative delle varie economie e l’aumento dell’inflazione, sta prendendo piede la discesa delle obbligazioni. Il bond decennale del Giappone è arrivato intorno a zero di rendimento, sui massimi dalla fine di marzo. Intanto il rendimento del Bund tedesco è risalito a -0,24%, in prossimità dei massimi degli ultimi 5 mesi. Inoltre, nel mondo è in corso un ripensamento del ruolo delle banche centrali. Ieri mattina la Riksbank della Svezia ha chiuso l’era del costo del denaro negativo e la banca centrale della Norvegia ha avvertito che nel 2020 potrebbe anche alzare i tassi.
I mercati, insomma, sembrano intenzionati a chiedere alle banche centrali rendimenti più alti per remunerare il rischio, anche a costo di mettere in difficoltà le situazioni più fragili. Ma sale anche la selettività nelle scelte. Non a caso tra i beniamini delle scelte dei gestori delle obbligazioni figura la Grecia che gareggia spalla a spalla con l’Italia.
Sembra un’esagerazione, vista la diversa la taglia e solidità delle economie dei due Paesi. Ma la finanza tende a premiare le tendenze piuttosto che i frutti del passato. E in questa prospettiva non è una follia che i decennali di Atene siano scesi, seppur brevemente, sotto l’1,3% (6 punti sotto i titoli italiani di pari grado), mentre quattro anni fa gli hellenic bond, sull’orlo dell’uscita dalla moneta unica, pagavano 1.700 punti. La prima spiegazione sta nel fatto che i tassi di crescita dell’economia di Atene stanno migliorando: il 2% circa contro il poco più di zero italiano. Nel frattempo Atene è riuscita ad accumulare un avanzo di bilancio tra il 3% e 4% negli ultimi due anni e promette di restare sopra il 2% per i prossimi esercizi. In Italia, invece, l’avanzo tende ad assottigliarsi. E questo agli occhi dei mercati conta di più dell’ammontare complessivo del debito (177% del Pil quello greco, 133% quello italiano).
Insomma, la Grecia oggi piace di più dell’Italia. Forse solo una moda o un azzardo motivato dalla prospettiva che le agenzie di rating ammettano i bond di Atene tra i titoli dotati di rating investment grade, anticamera dalla promozione più attesa, quella che potrebbe consentire l’ingresso della Grecia tra i Paesi che possono usufruire del Quantitative easing. Ma non si può trascurare il fatto che la Grecia ha corretto buona parte dei suoi squilibri sotto la severa guida delle istituzioni internazionali, imitando l’esempio di Spagna e Portogallo, Paesi ci hanno ampiamente superato nella considerazione dei mercati.
L’Italia esita invece a correggere e a riformare. Abbiamo evitato la trojka, ma non abbiamo tratto profitto dalla nostra libertà di movimento. Eppure un cambio di rotta coraggioso sarebbe il segnale atteso dalla comunità internazionale per avere l’assistenza necessaria per far ripartire gli investimenti. Ma il coraggio è merce rara dalle nostre parti.