Scorre ancora sangue in Burkina Faso. In un attacco di terroristi islamisti avvenuto stanotte hanno perso la vita 35 civili, in prevalenza donne, tra le quali 7 militari. Lo si è appreso da fonti della presidenza. L’attacco sarebbe avvenuto ad Arbinda, vicino alla frontiera con il Mali. L’attentato jihadista è stato seguito dalla rapida risposta governativa, nella quale sarebbero stati uccisi 80 miliziani. In quello che viene definito “uno dei paesi più poveri al mondo”, abitato per due terzi da musulmani e per un terzo da cristiani di varie confessioni, gli attacchi sono continui: il 14 maggio di quest’anno quattro fedeli sono rimasti uccisi durante una processione mariana; il 9 settembre scorso due camion di derrate alimentari sono saltati in aria passando su alcune mine, circa 20 i morti; il 7 novembre cinque pullman di una società canadese sono stati assaliti da un gruppo di uomini armati mentre trasportavano alcuni dipendenti e fornitori locali verso il sito minerario di Boungou: 37 persone sono rimaste uccise e 60 ferite. Il 14 dicembre almeno 14 persone sono morte e altre sono rimaste ferite nell’attacco a una chiesa anglicana durante una funzione religiosa, tra le vittime anche diversi bambini. Dietro queste violenze, il gruppo di Ansar ul Islam, attivo anche in Mali, uno degli Stati in cui è più forte l’influenza dei guerriglieri islamici. Un diverso gruppo, il Gsim (Group to Support Islam and Muslims), legato ad Al Qaeda e considerato il suo braccio armato in Mali e in tutto il Sahel, ha compiuto numerosi attentati nella capitale Ouagadougou e nelle province più a ovest del Paese. Secondo l’Onu, sono circa 500mila gli abitanti che sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni a causa delle violenze. In Burkina Faso si trovano diversi centri appartenenti alla Comunità missionaria di Villaregia, in provincia di Brescia, fondata nel 1981 ed eretta nel 2002 ad Associazione pubblica internazionale di fedeli di diritto pontificio dal Pontificio consiglio per i laici. Abbiamo parlato con Padre Paolo Motta, che si trova in una di queste missioni nel paese africano.
Padre Motta, da circa un anno è in atto una violenta offensiva di gruppi radicali islamisti. Cosa può dirci?
I cristiani e i musulmani hanno sempre vissuto insieme in modo pacifico; in questi anni, per un insieme di fattori, l’islamismo più estremo si è spostato dal Medio Oriente verso queste zone dell’Africa centrale e ha iniziato una strategia del terrore che colpisce non solo i musulmani più tolleranti e i cristiani, ma anche le istituzioni dello Stato o i paesi stranieri. Tutto il territorio del Sahel ne è interessato, dal Mali al Niger, dal nord della Nigeria al Camerun, dal Ciad a parte del Sudan fino all’Eritrea.
Come è la situazione adesso? Lei è stato mai coinvolto in episodi di violenza?
Nella capitale, dove ci troviamo, ci sono stati due attentati in questi ultimi anni, ma in generale la situazione è abbastanza tranquilla e la vita si svolge in modo ordinario. Ben diversa è la situazione al confine nord e a est del paese, dove spesso vige il coprifuoco. Molte scuole sono state chiuse così come molti ospedali e molte strutture sanitarie. Le autorità civili sono state minacciate e pure postazioni di difesa militari hanno subìto attacchi. Si contano molti sfollati che hanno cercato rifugio in zone più sicure. Proprio oggi nel nostro territorio siamo andati a visitare una famiglia che è sfuggita a degli attacchi nella zona nord e proprio in un momento in cui il raccolto è abbondante hanno dovuto lasciare la loro proprietà. Li abbiamo trovati a occupare un porcile abbandonato a qualche chilometro dalla nostra casa.
Il Burkina Faso è considerato “uno dei paesi più poveri del mondo”. Come mai? Le nazioni occidentali non lo sostengono o ci sono casi di corruzione e ruberie?
Certamente il Burkina Faso riceve aiuti dai paesi più ricchi, che a diverso livello hanno intrapreso operazioni di cooperazione allo sviluppo, però si può aiutare con una mano e togliere con l’altra. Il discorso è abbastanza complesso. Inoltre la tendenza dei commerci internazionali in quest’area è quella di sfruttare il paese più che aiutarlo.
Da quanto tempo lei si trova in Burkina Faso?
Da due anni e mezzo. Mi occupo insieme con gli altri fratelli e sorelle della comunità missionaria di Villaregia di gestire una parrocchia che ci è stata affidata dal cardinale di Ouagadougou. Siamo in periferia, la nostra zona conta circa 100mila persone, i cattolici sono il 20-30% della popolazione.
E cosa fate lei e la vostra comunità?
Finora abbiamo realizzato due pozzi, una scuola di alfabetizzazione per adulti basata sul volontariato dei professori, attività di microcredito, specialmente per le donne, corsi di formazione per l’agricoltura sostenibile e biologica, formazione alla creazione di attività generatrici di reddito, sostegno all’iscrizione scolastica di bambini meno abbienti, sostegno a casi di povertà che incontriamo nella nostra presenza in mezzo a questa periferia povera.
Quante comunità come la vostra ci sono nel paese?
Il Burkina Faso vede la presenza di molte comunità religiose e di molte organizzazioni non governative o di cooperazione allo sviluppo. Ciò non toglie che le necessità siano enormi e ci sia spazio per tutti.
Che significato ha il Natale in una situazione come questa? Qual è il vostro messaggio al popolo africano e a noi cristiani d’Occidente?
Gloria a Dio nei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà: il messaggio del Natale è sempre un messaggio di pace, quanto mai attuale nella situazione che stiamo vivendo. La speranza non viene mai meno, perché la fede in Dio porta a credere che c’è Qualcuno di più forte che ci vuole bene e che non lascerà prevalere il male. Il messaggio per tutti è quello della solidarietà, perché tanto più ci si apre a persone e situazioni di povertà, tanto più ci si sente risollevati dalle proprie piccole difficoltà di tutti i giorni e ci si può impegnare affinché tutti possano avere una vita più dignitosa.
(Paolo Vites)