Secondo un’antica usanza medievale propria del Nord Europa, il 24 dicembre, notte della nascita di Gesù, ricorreva anche la festa di Adamo ed Eva. Il figlio di Dio che si fa uomo romperà infatti i sigilli degl’inferi e riaprirà le porte del Paradiso, chiuse a causa del peccato originale.
Nel “gioco” che veniva messo in scena per l’occasione con il racconto della mela e del serpente, si usava rappresentare anche il giardino terrestre con i suoi alberi carichi di frutta e di doni. Ambientazione della storia, certo, ma anche simbolo della perdita patita e, insieme, del riscatto ormai pagato a favore dei due sventurati progenitori e della loro discendenza.
Ne abbiamo testimonianza particolare in una miniatura di fine Quattrocento (il Messale di Salisburgo), nella quale l’albero del paradiso terrestre viene presentato come albero della vita e della morte. Ai suoi due lati, e separate da esso, troviamo infatti Eva, che ne coglie i frutti materiali e li distribuisce a coloro che si rivolgono a lei, e Maria, che invece distribuisce ai fedeli quelli spirituali, le ostie dell’Eucarestia. Oltre alla Morte che accompagna quanti ricevono i pomi da Eva, e all’Angelo che invece affianca i “buoni cristiani” sul lato opposto, a completarne la didascalia figurata spiccano tra le chiome dell’albero un crocifisso e un teschio: dove il peccato di Eva ha portato la morte, ciò che Maria porta in dono è il corpo di Cristo che dona la salvezza eterna.
Questa particolare lettura simbolica, che ricorre in altre opere d’arte antica e accosta il peccato e la redenzione attraverso le due figure femminili di Eva e Maria, di cui la prima è prefigurazione dell’altra, rimanda a un passaggio ben preciso della riflessione cristiana.
Come Eva è madre dei viventi, che per essa sono destinati alla vita che conosciamo e al suo termine obbligato nella morte, così Maria è la nuova Eva, nel senso di loro madre spirituale, per aver portato fisicamente il Salvatore e per l’obbedienza che ha reso possibile il “progetto” di redenzione del Padre; come è ben rappresentato in alcune Annunciazioni dipinte, sul cui sfondo compaiono proprio Adamo ed Eva nel momento in cui sono costretti ad abbandonare il Paradiso terrestre.
Proprio l’appellativo di “seconda Eva” è quello che John Henry Newman, in un suo famoso scritto dedicato a Maria (Maria. Lettere, sermoni, meditazioni, a cura di Giovanni Velocci, Jaca Book, 1993), chiama “l’insegnamento rudimentale”, la prima meditazione dei Padri “sulla persona di Maria e sulla sua missione, l’aspetto con cui ci è stata tramandata”. Attorno a questo “insegnamento”, il pensiero dei Padri procederà poi con caratteri originali e lo stile proprio di ognuno di essi.
Il riferimento più antico che possiamo rintracciare è quello di san Giustino martire (100-165 circa), che riconosce un’analogia di metodo (la libera scelta tra obbedienza e disobbedienza) tra il primo peccato e il procedimento della salvezza attraverso l’Incarnazione.
“Noi sappiamo che Lui procedette dal Padre (…) e divenne uomo nascendo da una Vergine, affinché la disobbedienza causata dal serpente fosse distrutta nella stessa maniera con la quale aveva avuto origine. Perché Eva, che era vergine e senza macchia, concependo la parola detta dal serpente, portò la disobbedienza e la morte; ma la Vergine Maria recò la fede e la gioia, quando l’Angelo le portò il lieto annunzio che lo Spirito Santo sarebbe venuto su di lei, la Potenza dell’Altissimo l’avrebbe coperta con la sua ombra, e che il Bambino santo che nascerebbe, sarebbe chiamato Figlio di Dio, allora rispose ‘Che mi avvenga secondo la tua parola’” (Dialogo con Trifone, trad. G. Velocci)
Una simmetria, quella tra Eva e Maria, che si ripresenta esplicita nelle parole di Tertulliano (160-240 circa).
“Dio recuperò la sua immagine e somiglianza, che il diavolo aveva distrutto, con una operazione contraria. Perché in Eva ancora vergine, irruppe la parola che produsse la morte; ugualmente in una vergine scese il Verbo di Dio che ricreò la vita; cosicché quello che per mezzo della donna aveva portato alla perdizione, per mezzo sempre della donna portasse alla salvezza. Eva aveva creduto al serpente, Maria credette a Gabriele; la colpa che l’una aveva commesso credendo, l’altra la distrusse credendo”. (De carne Christi, trad. G. Velocci)
Anche in sant’Ireneo (150-202 circa) l’opera di ripristino della salvezza da parte di Cristo doveva come ripercorrere e riparare la storia del peccato e della caduta dell’uomo, e così, come Gesù diventa il nuovo Adamo, Maria assume in sé la figura di Eva. E come nota Newman, “ciò che è particolarmente importante in questi scrittori è che essi parlano di Maria non come strumento fisico dell’Incarnazione del Verbo, ma come causa intelligente e responsabile; la sua fede e la sua intelligenza furono decisive per l’Incarnazione”.
“Come Eva fu sedotta dalla parola dell’angelo al punto di fuggire dal cospetto di Dio, avendo trasgredito la sua parola, così Maria ricevette il lieto annuncio per mezzo della parola dell’angelo, cosicché, obbedendo alla sua parola, portò Dio dentro di sé. E come quella si lasciò sedurre fino a disobbedire a Dio, così questa si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio”. (Contro le eresie, trad. L. Gambero)
E ancora,
“per questo la Vergine Maria divenne avvocata della vergine Eva (…) Ciò che è legato, infatti, non si scioglie se non seguendo l’ordine inverso dei nodi, così che il primo nodo (Eva) viene sciolto dal secondo (Maria), ossia il secondo (Maria) libera il primo (Eva)”. (Contro le eresie, trad. D. Casagrande)
Infine, a conclusione di questo breve percorso – dovendo lasciare la compagnia di Newman, che, se pur per brevi accenni, riporta anche il pensiero di san Cirillo, sant’Epifanio, san Girolamo, san Pier Crisologo, san Fulgenzio – riportiamo due brani particolarmente suggestivi estratti dagli Inni alla Vergine di sant’Efrem il Siro (306-373 circa).
“In luogo di quel frutto amaro che Eva colse dall’albero, Maria diede agli uomini il dolce frutto. Ecco, il mondo intero gode del frutto di Maria. L’albero della vita, nascosto nel paradiso, crebbe in Maria e da lei, con la sua ombra protesse il mondo e distese (i suoi rami con) i frutti su lontani e vicini. Maria tessé una stola di gloria e la diede al progenitore, che tra gli alberi era stato spogliato; egli se ne vestì castamente e si ornò della bellezza della virtù. La moglie lo fece cadere, ma la figlia lo sorresse; ed egli si rialzò vittorioso. Eva ed il serpente scavarono una fossa e vi precipitarono dentro Adamo; ma si opposero Maria ed il regale Infante, e, chinatisi, lo trassero dall’abisso in virtù d’un mistero occulto che, svelato, ridonò vita ad Adamo. La vite vergine produsse l’uva di cui il dolce vino recò conforto a chi piangeva. Eva ed Adamo, in preda al dolore, gustarono il farmaco di vita ed in esso trovarono sollievo al loro pianto.”
“Ascolti ora e venga a me Eva, nostra antica madre; si rialzi il suo capo che si chinò per la nudità nel paradiso. Scopra il suo volto e si rallegri con me perché tu (Cristo) le hai levato il rossore dal volto; ascolti la voce della pace perfetta, perché la sua figlia ha saldato il suo debito. Il serpente suo seduttore è stato calpestato da te, virgulto spuntato nel mio grembo! Il cherubino e la spada furono rimossi perché Adamo ritornasse nel paradiso da cui era stato cacciato. Eva e Adamo si rifugino in te e colgano da me il frutto di vita; di te s’addolciscono le loro bocche che il frutto proibito amareggiò. Esultate, schiere di fanciulle, nella Vergine tutta amabile. Ella partorì il Gigante, che avvinse in catene il Ribelle, perché non seducesse le fanciulle. Il Ribelle aveva sedotto Eva, vostra madre, e mangiò il frutto mortifero. Maria, vostra sorella, distrusse l’albero che arrecò la morte e donò il frutto che dà vita a tutti.” (Inni alla Vergine, in La Madonna nel mistero della salvezza, Domenico Casagrande)
Ed è proprio la tenerezza di sant’Efrem che ci permette un lungo salto fin dentro la nostra modernità e ci introduce al grande poema di Charles Péguy, “continuatore” dei Padri della Chiesa, dedicato a Eva.
(1-continua)