Origini territoriali uguali, quelle della dolce provincia di Pavia, terra di vini e belle persone. Ma storie diverse, accomunate però dall’amore per la buona musica. Sono i Mandolin’ Brothers, una istituzione nel panorama italiano di musica che guarda all’America, attivi sin dal 1979, pochi ma validi dischi, partecipazioni anche a festival americani che festeggiano con questo 6 (dal numero dei dischi pubblicati) i 40 anni di carriera, sempre capitanati dal frontman Jimmy Ragazzon. Tempi nei quali nessuno pensava che un italiano potesse misurarsi su queste note.
L’altro è Edward Abbiati, una carriera che risale al 2007 quando fonda i Lowlands, band che guarda sia a Springsteen che ai Waterboys, con prestigiose tournée in Inghilterra. Il gruppo comincia a stare stretto ad Abbiati che si avventura in diversi progetti alternativi, tra cui spicca il bellissimo Me and the Devil inciso con Chris Cacavas e l’ex batterista di Dylan Winston Watson. Dopo altri progetti, Abbiati si decide a fare il grande salto, il primo disco a suo nome e basta, Beat the Night.
Due dischi del tutto diversi fra loro: se i Mandolin’ Brothers continuano la loro eccitante cavalcata nel miglior rock blues stelle e strisce con evidenti richiami ai Little Feat ad esempio nelle eccitanti My girl in blue e Lost Love dove la slide fa scintille intrecciandosi con una elettrica che macina ritmi boogie-rock o nella pettyana Down Here, un rock’n’roll accattivante e fruibile, altrove lasciano capire di avere le doti di jam band e infatti dal vivo il loro è uno spettacolo da non perdere. Ci sono anche i Rolling Stones, quelli di Honky Tonk Women per capirsi, nella brillante Face the Music, composta da Jono Manson, songwriter e producer americano assai noto in Italia. Ragazzon si distingue poi nel southern country della deliziosa Lazy Day mentre If you don’t stop è un tributo ai vecchi tempi, mandolino in primo piano e atmosfere irish-folk. Band dagli strumentisti eccellenti, in cui si distinguono le chitarre, ma al sottoscritto piace soprattutto l’eccellente pianista Riccardo Maccabruni, vera forza propulsiva che tiene in piedi tutto il sound.
Tutta un’altra storia Beat the Night. Per chi conosce le vicende personali di Edward, “sconfiggere la notte” significa sconfiggere la morte, ma a prescindere, il disco si adatta ovviamente a tutti noi, che la notte la portiamo nel cuore. Il messaggio del disco è che c’è sempre una luce di speranza e di bellezza che “sconfiggerà la notte”. Con l’esclusione dell’iniziale brano che intitola il disco, un bel rock’n’roll nello stile di Abbiati, il resto del disco è fatto di ballate scarne, ridotte ai minimi strumentali, in cui il cantautore ci guida per la sua personale odissea, senza mai rinunciare a combattere.
Chitarre acustiche, il violoncello della brava Simona Colonna, il violino della leggenda Michele Gazich, Joe Barreca e Jimmy Ragazzon dei Mandolin’, un’altra leggenda, quella del blues italiano, Maurizio Gnola Glielmo, Antonio Rigo Righetti, Stiv Cantarelli e altri ancora e ospiti stranieri di lusso come Joey Huffman (Soul Asylum, Georgia Satellites) e David Henry (Yo La Tengo, Matthew Ryan, mentre co-produce con Abbiati Mike ‘Slo Mo’ Brenner, dei Marah e Magnolia Electric Co (anche alla lap steel).
Un disco intenso e pregnante, di ballate di intensità rara come I feel the dark dove si intrecciano magnificamente violino e violoncello, di doloroso spessore come In harm’s war, nel bluesaccio che omaggia il fantasma di Robert Johnson, Judgement Day #2.
Nella loro diversità questi due dischi si coniugano magnificamente, dicendoci del livello che hanno raggiunto ormai molti autori italiani che hanno sempre guardato all’America, ormai senza complessi di inferiorità. E soprattutto ci dicono che la vita val la pena di viverla e di impegnarsi sempre, costi quel che costi, “a sconfiggere la notte”.