Alle pubbliche amministrazioni i sistemi turistici del nostro Paese oggi chiedono soprattutto certezze, vale a dire un quadro chiaro all’interno del quale agire, dunque conoscenze, condizioni e strumenti adeguati, al passo con i tempi, che consentano alle imprese del settore di competere “ad armi pari” nel mercato globale in continua evoluzione.
Una richiesta, questa, ampiamente giustificata dalle rilevazioni statistiche riferite al comparto turistico italiano, che ne documentano il peso determinante e irrinunciabile per l’intero equilibrio del sistema economico. Dai dati forniti dagli osservatori nazionali, si evince infatti che la spesa turistica nel nostro Paese genera un importante fetta del prodotto interno lordo. Si tratta del 6% del Pil nazionale. Ma se si considerano anche gli imprescindibili effetti indotti, si arriva ad una percentuale che oscilla tra 10 e il 13% ma in certe realtà regionali, come il Trentino Alto Adige tali cifre vanno più che raddoppiate. Inoltre il settore assorbe oltre 6 per cento degli occupati del Paese, un peso economico comparabile al dato della Spagna e superiore a quello di Francia e Germania.
Inoltre non va sottaciuto il fatto che il rapporto dell’UNWTO (United Nations World Tourism Organisation) di tre anni fa mette in evidenza che l’Italia cresca meno dei competitor mondiali nel settore turistico e che pur essendo la quinta destinazione mondiale quanto ad arrivi internazionali, sugli incassi, vale a dire conseguentemente sulla reddittività aziendale del comparto, siamo slittati al settimo posto dietro la Gran Bretagna. E’ vero che, come hanno affermato vari politici di vertice a livello nazionale, siamo “una superpotenza turistico culturale”, ma le difficoltà rispetto ai principali concorrenti sono evidenti. Ciò anche perché, come sottolineato dal World Economic Forum, l’Italia ha gravi lacune a livello di “business enviroment” (contesto ambientale per chi fa impresa) tant’è che siamo ben oltre il centesimo posto posto a livello mondiale.
Si tratta di cifre eloquenti che giustificano ampiamente un’attenzione specifica per questo settore. È vero infatti che, al di là dei facili proclami, tale settore economico non ha in Italia l’attenzione che merita. Qualche bell’anno fa con tanto di referendum si era tolto il ministero del Turismo, che poi è tornato come competenza all’interno di altri dicasteri. Ma sia in termini di politiche di contesto che di azioni dirette a differenza di altri Paesi europei le politiche nazionali per il Turismo non sono certo particolarmente incisive. Vero è che in questi decenni vi è stata una forte azione delle Regioni, che molto hanno fatto per qualificare e promuovere i propri sistemi turistici, anche se con politiche molto diversificate sul territorio nazionale con punti di eccellenza e lacune evidenti.
È giunto il momento di riconoscere e accordare pubblicamente al turismo una centralità strategica nelle politiche economiche e di sviluppo nazionali. Occorre la consapevolezza che questo comparto ha già dimostrato e continua a testimoniare una notevole capacità di “tenuta” di fronte alla crisi economica complessiva, sia dal punto di vista delle risposte che fornisce ai problemi occupazionali, sia per la tempestività con cui intercetta e interpreta costruttivamente i primi sintomi di ripresa.
Si tratta di ragioni che rendono quanto mai sensato e opportuno investire in un settore come questo, particolarmente sensibile allo scenario economico esterno perché per sua natura aperto e internazionalizzato. Investire nel comparto turistico e nel suo sviluppo significa quindi scommettere a ragion veduta sulla capacità del nostro Paese di essere competitivo nel contesto internazionale, di attrarre turisti da ogni parte del mondo, rafforzando indirettamente l’intero sistema economico nazionale. D’altronde il patrimonio naturalistico, paesaggistico, storico, culturale e architettonico nazionale non ha eguali a livello mondiale.
In questa prospettiva appare oggi sempre più urgente pensare ad una riforma nel modo complessivo dell’approccio alle politiche turistiche rilanciando una nuova partnership tra pubblico e privato in Italia dove il pubblico intervenga per porre in essere quelle politiche di contesto che rendano sempre più competitiva la nostra offerta turistica a fronte di un sistema imprenditoriale privato che accolga le sfide che l’oggi pone senza difendere logiche di rendita, ma con rinnovata capacità di stare al passo con i tempi, di cambiare e innovare, con i piedi ben saldi in una tradizione che nel nostro Paese è pur sempre di successo e di tenuta e crescita complessive del comparto.
Indispensabile, in questo senso, è inoltre il coinvolgimento dei soggetti e degli operatori attivi nei territori, da cui dipende la possibilità di attivare un sistema di qualificazione complessiva dell’offerta turistica in grado di darsi strategie e obiettivi condivisi con i quali puntare alla promozione e alla valorizzazione dei molteplici prodotti turistici, di sostenere la qualità dell’offerta italiana sui mercati, di monitorare e controllare periodicamente i risultati.
Occorre, in altri termini, che le politiche pubbliche sia nazionali che regionali si lascino definitivamente alle spalle una lunga fase di tentativi e di iniziative frammentarie, episodiche, sganciate da un disegno complessivo, e definiscano una strategia solida, da un lato per rispondere ai rapidi cambiamenti e alle novità da cui è interessato il mercato turistico internazionale, dall’altro per tener conto delle esigenze degli operatori, delle imprese e dei tanti soggetti pubblici e privati attivi in questo settore.