La teoria politica sta scomparendo, insieme all’oggetto dell’indagine: la politica, appunto. Ecco, allora, che, per riafferrare qualche brandello di analisi sistemica e politica, devi leggere il Financial Times. Wolfgang Münchau ha scritto un lucido pezzo politico su base economica: la distruzione del Centro politico europeo è dovuta all’austerità, non ai populisti.
L’antico adagio calza a pennello: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Copioni speculari in tutta Europa: il Monti del 2012 lancia l’austerity “prociclica” e lo shock è ancora in atto. La Germania vede i socialdemocratici allo sbando per questa devozione postmoderna di matrice europeista. La Francia, retta da Hollande, nel 2014, ha dato la spallata finale ai socialisti, aprendo il varco a un Macron, in caduta libera nelle politiche e nei sondaggi. L’Inghilterra che ha scommesso sul secondo referendum per rimanere in Europa sta cancellando la politica del centro e le conseguenze potrebbero durare decenni. Davos non paga, il popolo non mangia caviale e difende la società naturale, a cominciare dalla famiglia: salvare l’appartenenza a un blocco estraneo alle società naturali com l’Ue, distruggendo la società umana è la peggiore delle politiche. Dobbiamo leggerlo sul Financial Times.
Il centro cattolico-sociale, fino alla fine degli anni Ottanta, costituiva il Grande centro popolare, capace di bilanciare, anche senza Keynes, lo sviluppo con la spesa pubblica. Questo livello di mediazione ha costruito la nostra civiltà politica e ha creato la prosperità europea. La quale, negli ultimi venticinque anni, è andata in mano alle Commissioni, che ne hanno fatto strame. Imponendo, in seconda battuta, a società complesse, con innumerevoli canali di mediazione politico-sociale ed economico-sociale, prima fra tutte l’Italia, di uniformarsi, con buona pace del liberalismo di vecchia scuola, al dispotismo legale dell’eurocrazja.
Il cosiddetto “populismo” non fa altro che resistere a questa bolla di violenza livellatrice, che poco ha a che fare con la fine complessità del pensiero liberale, ad esempio di un Röpke. L’umanesimo liberale ama il mercato perché lo concepisce come il volano generativo della società libera. Ma una società è libera quando può disporre di risorse in un patto equilibrato con chi governa. Se salta anche il “no taxation without representation”, salta anche il liberalismo politico, già difficile da individuare nella storia moderna.
Corretta la conclusione dell’analista del FT: “Il liberalismo europeo vanta una lunga storia di auto-distruzione. Stiamo attraversando un altro di questi cicli”. Appunto, di nuovo: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Purtroppo, versano lacrime anche coloro che sono costretti a subire la tendenza auto-distruttiva del liberalismo europeo.