La tradizionale conferenza stampa di fine anno ha riportato sotto i riflettori Giuseppe Conte. Il premier ha usato una metafora sportiva per definire sé stesso e l’obiettivo che si è posto: il maratoneta. Un po’ si sente come Dustin Hoffman nel vecchio film (1976) di John Schlesinger, cioè uno studente che si allena mentre scrive la tesi e subito dopo la laurea si ritrova coinvolto in una cospirazione. Un po’ veste i panni di Fidippide, il leggendario soldato ateniese che correva tra Sparta e Atene per chiedere appoggi in vista della battaglia.
Conte il maratoneta, dunque, dibattuto tra sostegni che mancano al suo governo e macchinazioni per farlo cadere anzitempo. L’immagine però è servita al presidente del Consiglio soprattutto per dare l’idea di uno che si prepara a fare una corsa lunga, dove non conta tanto la distanza coperta ma l’interminabile durata della marcia. L’obiettivo è arrivare al 2023, scadenza della legislatura, o quantomeno al 2022, termine del mandato del presidente Sergio Mattarella. Ecco dunque Conte che scalda i muscoli e dà sfoggio di decisionismo. Al punto che durante l’incontro con i giornalisti ha annunciato il cambio all’Istruzione: non uno ma due ministri per sostituire Lorenzo Fioramonti. Entrambi molto vicini a Luigi Di Maio.
Lo spacchettamento non sarebbe stato possibile se Conte non si sentisse ben saldo a Palazzo Chigi. Un premier instabile non potrebbe gestire la suddivisione delle competenze e soprattutto non avrebbe avuto il coraggio di nominare un rettore con qualche guaio giudiziario alle spalle e un sottosegretario che ha partecipato (e vinto) il concorso per dirigente scolastico da parlamentare componente della Commissione cultura della Camera. Dettagli biografici che non sarebbero stati perdonati a maggioranze di diverso colore.
Il capo del governo ci tiene a mostrare di avere la situazione in pugno. Una questione gli sta particolarmente a cuore, tanto da smentirla in conferenza stampa: di pensare a un proprio partito, o almeno a gruppi parlamentari che si riferiscano a lui. L’occasione sarebbero le voci riguardanti le mosse di Fioramonti, che viene definito in movimento nel tentare di coagulare una nuova formazione sganciata dai 5 Stelle ma strettamente legata al premier. Niente gruppi parlamentari, assicura Conte. Del resto, la mossa avrebbe un senso per lanciare un salvagente al presidente del Consiglio, quindi dovrebbe avvenire in un contesto di grande precarietà. In questo modo, perciò, l’inquilino di Palazzo Chigi intende ancora evidenziare che all’orizzonte non si intravedono nubi sul suo mandato e sulla sua autorevolezza.
In che modo Conte correrà la sua maratona? Il programma non è definito e il premier non ha fatto nulla per fugare gli interrogativi. Ribadisce che a gennaio sarà fatta quella che i democristiani amavano chiamare «una verifica» e che il premier ha preferito qualificare come «un rilancio». Non è neppure chiaro in che modo Conte gestirà le tensioni all’interno della coalizione: da Italia viva, infatti, ogni giorno arrivano colpi di cannone.
L’ultimo è la minaccia di votare assieme a Forza Italia per bloccare la riforma della prescrizione. I renziani non mollano un colpo e per il premier la vita quotidiana è una continua avventura. L’importante è comunque consolidare l’immagine di un leader sicuro, pacato, dalla mano ferma e dallo sguardo puntato al futuro. La parola d’ordine è stabilità, che piace tanto ai mercati, all’Europa e al Quirinale. Ma che fa anche rima con immobilità. E al Paese servono riforme molto più incisive che la suddivisione di un ministero senza assegnare un euro in più a nessuno dei due.